due chiacchiere

L’anno scorso mi sono… consolato

Già un anno è trascorso dal giorno in cui varcavo la soglia del Consolato degli Stati Uniti in Italia (sede di Napoli) per ritirare il mio tanto desiderato permesso di soggiorno (che molti, per non sentirsi alla stregua degli albanesi che arrivano sulle coste italiane, chiamano carta verde). Ricordo ancora quei momenti come se fossero accaduti ieri: la visita medica, l’intervista con il rappresentante consolare, la verifica di tutti i documenti, e finalmente il timbro sul passaporto. Era la fine di un lungo periodo d’attesa, iniziato all’incirca un anno prima: ebbene si, ci vuole un anno per ottenere il visto, dalla presentazione della domanda alle autorità statunitensi. Un anno di “botta e risposta” con Napoli che mandava nuovi moduli da compilare, ed io che li rispedivo nel più breve tempo possibile. Credo che lo facciano apposta per vedere chi riesce a resistere fino in fondo 🙂 Una specie di prova di pazienza in cui solo i più meritevoli possono sperare di stringere tra le mani l’ambito riconoscimento. Per me significava superare uno dei traguardi più importanti della mia vita.

Ricordo ancora i pacchi spediti a poco a poco (la tizia delle Poste mi odiava alla fine): per fortuna un comodo servizio via nave consente di spedire fino a 20 chili (mi pare) per circa 50 euro. Il pacco impiega un mese ad arrivare, ma non ho mai avuto problemi. Ricordo ancora le manovre per vendere l’auto a cui ero affezionatissimo: una Yaris verde che, a quanto mi dicono, adesso è nelle mani di una brava ragazza che la sta trattando con rispetto (incredibile come a volte ci si attacca agli oggetti considerandoli quasi animati). Avevo 6 mesi di tempo, pena l’annullamento, per sfruttare quel visto: mi sono messo in aspettativa dal lavoro che avevo (meglio avere una rete di protezione, se le cose non fossero andate bene), ho iniziato la caccia frenetica per il nuovo lavoro qui in America, e le “manovre” di smantellamento di un’intera vita: chiudere le forniture, il contratto d’affitto, i conti in sospeso con il fisco, e via dicendo. Non è stato facile, ma mi sono divertito molto.

Commenti

  1. ha scritto:

    Da che ti “conosco”, anche se solo virtualmente, mi sono posto una domanda che fino ad ora non ha una risposta, sei andato negli States perchè avevi già trovato un lavoro o sei andato per cercarne uno?
    So che è una domanda strana ma dai tuoi post non l’ho capito.
    Certo comunque non dev’essere stata una scelta facile, prendere e andare dall’altra parte del mondo e lasciare amici e parenti a casa. Non so se ne sarei capace, la cosa mi spaventerebbe.
    Resta comunque l’invidia (in senso buono) di saperti nella grande mela! Vorrei vedere dal vivo l’albero di Natale del Rockefeller Center, dev’essere incredibile! 🙂

    Risposte al commento di Piero_TM_R

    1. camu
      ha scritto:

      @Piero: in effetti non sono solito parlare della mia vita privata sul blog, un po’ perché mi piace conservare questa separazione, un po’ perché sono convinto che alla gente non importa granché di sapere se la sera prima ho mangiato le patatine, un po’ perché il taglio dell’essere “utile” ha sempre contraddistinto questo blog. Ovviamente ci sono piccole eccezioni, di tanto in tanto 🙂 Il lavoro ce l’avevo già in Italia, anzi uno dei migliori che un italiano possa mai sognare (lascio indovinare alla tua fantasia) eppure non mi piaceva l’andazzo dell’Italia (il rapporto Censis di questi giorni parla di una società “mucillagine”, sto scrivendo un articolo in merito). La mia relativamente giovane età (nell’arco degli enta) mi ha aiutato: non avevo una casa di proprietà da vendere, niente figli, pochi legami. Ti confesso, non è stato facile: abbandonare gli amici con cui hai fatto le migliori risate della tua vita non è una scelta semplice. Eppure sono qui. Avevo paura: la lingua, la cultura, la conoscenza delle regole “sociali” (da come pagare le tasse al farsi la patente di guida), tutto era diverso e mi spaventava. Ma ora sono contento di aver affrontato con coraggio e ambizione tutti questi passaggi. Riguardo all’albero a Rockefeller Center, ti confesso di non averlo ancora visto quest’anno: c’è sempre una bolgia infernale la sera, da quelle parti, e non fa per me 🙂 Eppure passo a pochi “blocks” di distanza da quella piazza tutti i giorni.

  2. ha scritto:

    ma hai vinto la green card lottery ?

  3. camu
    ha scritto:

    Meglio, ho sposato un’americana 😉

  4. Trap
    ha scritto:

    Come non dimenticare l’ultimo giorno di “lavoro” (si fa per dire) e la richiesta di installare un disco di rete da parte di un ufficio 😛

  5. camu
    ha scritto:

    @Trap: accipicchia, è già passato praticamente un anno dal mio ultimo giorno di lavoro in Italia! Ho comunque dei bei ricordi…

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