due chiacchiere

Le auto più vendute alla fine dell’Ottocento

Con i prezzi della benzina sempre abbastanza salati, è normale chiedersi come mai il mondo non segua il modello norvegese, fortemente basato sull’uso di energie rinnovabili, e come mai ancora oggi l’umanità non riesca a liberarsi dagli idrocarburi come fonte di energia per i propri veicoli. Lo sapevi ad esempio che già più di centoventi anni fa in America l’auto più venduta era… elettrica? Io stentavo a crederci, quando ne hanno parlato in un episodio del mio podcast preferito, Freakonomics Radio. Così ho fatto un po’ di ricerca in materia, e sono inciampato in un lungo ma piacevole articolo del Guardian che ripercorreva le avventure della Electrobat, un’automobile ideata da Pedro Salom e Henry Morris, due scienziati appassionati della neonata elettricità in quel di Filadelfia (non il formaggio spalmabile). Eccoti qui di seguito la prima puntata di quest’intrigante storia.

Negli anni ’90 dell’Ottocento, le più grandi città del mondo occidentale si trovavano a fronteggiare un problema crescente. Le carrozze a cavalli erano in uso da migliaia di anni e nessuno si sarebbe mai potuto immaginare un futuro senza di esse. Sfortunatamente, l’aumento del numero di tali veicoli nei centri urbani portava degli svantaggi sempre più evidenti 💩. L’accumulo di letame di cavallo per le strade creava problemi d’igiene e di salute pubblica. Basti pensare, ad esempio, che alla fine del 1800 circa 300.000 cavalli giravano per le strade di Londra e più di 150.000 a New York. Ad una media di 10 kg di letame al giorno, più circa un litro di urina, puoi immaginare quanto fosse difficile tenere pulita la città.

Secondo un calcolo di inizio secolo, si registrarono 20.000 morti all’anno a New York a causa di “malattie che volano nella polvere”, una chiara prova dei pericoli per la salute derivanti dall’affidamento ai cavalli. A peggiorare le cose, i cavalli erano spesso sovraccarichi di lavoro e, quando cadevano morti, i loro corpi venivano spesso lasciati in decomposizione per le strade per diversi giorni prima di essere smembrati e rimossi. Paradossalmente, l’avvento della locomotiva a vapore e la costruzione di collegamenti ferroviari interurbani avevano contribuito ad aggravare il problema. Un trasporto più rapido ed efficiente tra le città metteva pressione sulla domanda di trasporto di persone e merci al loro interno. “La nostra dipendenza dal cavallo è cresciuta quasi di pari passo con la nostra dipendenza dal vapore”, notò un osservatore nel 1872.

Inquinamento, congestione e rumore erano solo le manifestazioni più evidenti di una dipendenza più profonda. Un focolaio di influenza equina in Nord America nell’ottobre 1872 rese inabili tutti i cavalli e i muli per diverse settimane, fornendo un chiaro promemoria della dipendenza della società dall’animale a quattro zampe. “Cavalli e stalle”, osservava il New York Times, “sono le ruote della nostra grande macchina sociale, il cui arresto significa danno a tutte le classi e condizioni di persone, danno al commercio, all’agricoltura, alla vita sociale.” I cavalli erano diventati sia indispensabili che insostenibili. Ai sostenitori di una nuova tecnologia emergente, la soluzione sembrava ovvia: sbarazzarsi dei cavalli e sostituirli con veicoli a motore semoventi, noti all’epoca come carrozze senza cavalli.

Gran parte dell’entusiasmo iniziale per l’automobile derivava dalla sua promessa di risolvere i problemi associati ai veicoli trainati da cavalli, inclusi rumore, congestione del traffico e incidenti. Il fatto che le auto in realtà non risolvevano nessuno di questi problemi era tollerato perché offrivano tanti altri vantaggi, inclusa l’eliminazione dell’inquinamento – in particolare il letame di cavallo – che aveva afflitto le strade urbane per secoli.

Peccato che, pur eliminando una serie di problemi ambientali, le automobili finirono per introdurne un bel po’ di nuovi. L’inquinamento prodotto dal motore a scoppio forse non era così visibile come il letame in mezzo alla strada, ma non per questo avrebbe causato meno problemi, di cui oggi siamo molto consapevoli. Problemi che non potevano essere previsti all’alba dell’era automobilistica. Eppure, già all’epoca alcune persone sollevavano preoccupazioni sulla sostenibilità dell’uso di carburanti fossili, e sulla facilità con cui si potessero produrre. Oggi ad esempio le auto elettriche, caricate con energia rinnovabile, sono viste come il modo logico per affrontare queste preoccupazioni. Ma il dibattito sui meriti delle auto elettriche si rivela vecchio quanto l’automobile stessa.

Nel 1897, l’auto più venduta negli Stati Uniti era un veicolo elettrico: la Columbia Motor Carriage della Pope Manufacturing Company. I modelli elettrici vendevano più di quelli a vapore e benzina. Nel 1900, le vendite di veicoli a vapore guadagnarono un piccolo vantaggio: quell’anno furono venduti 1.681 veicoli a vapore, 1.575 veicoli elettrici e 936 veicoli a benzina. Solo con il lancio della Oldsmobile della Olds Motor Works nel 1903 i veicoli a benzina presero il comando della classifica per la prima volta.

[continua…]

Commenti

  1. Trap
    ha scritto:

    Il modello norvegese è facile da realizzare perché là sono in 5 milioni di abitanti e la loro elettricità è quasi interamente prodotta dalle sue dighe idroelettriche, il che permette ad ogni casa di avere un contratto di fornitura elettrica di 12kw (al confronto dei 3 standard italiani). Una casa potrebbe caricare 3 auto elettriche in contemporanea…

    Risposte al commento di Trap

    1. camu
      ha scritto:

      Hai ragione, la conformazione del territorio, la disponibilità di risorse naturali e la dimensione della popolazione da coprire sono tutti fattori chiave. Anche in Italia questa fonte rinnovabile è molto sviluppata, e stando ad alcune fonti, investendo sul rinnovamento delle vecchie centrali che abbiamo, potremmo ottenere 4 terawatt in più. Al sud del Paese, con tutto il sole che hanno, incentivare i pannelli solari sulle abitazioni porterebbe benefici sia in termini di produzione energetica che di risparmio (creando una barriera nel tetto che diminuisce il riscaldamento dell’edificio sottostante, immagino). Per non parlare dell’eolico che sugli Appennini potrebbe fruttare parecchi terawatt, ma che per motivi burocratici non decolla.

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