due chiacchiere

Ma tu ti senti davvero europeo?

Da un recente scambio di battute in calce ad un post su kOoLiNuS, è riemerso il mio spirito anti-europeista. Nulla di nuovo sotto il sole: ne avevo già parlato nel 2008, poi di nuovo nel 2010, ed ancora nel 2012 quando Der Spiegel riassumeva il sentimento tedesco che accomunava tutti gli italiani dietro le gesta tristemente famose del codardo signor Schettino, per chi ancora se lo ricorda. Con buona pace di Emanuele, che probabilmente andrà su tutte le furie leggendo questo post, devo confessare che ad un decennio di distanza, la penso ancora allo stesso modo: l’Unione Europea ha fallito, anno dopo anno, molte delle prove importanti che le si sono presentate davanti, dalla gestione austera merkeliana della crisi del 2008, all’asse franco-tedesco che ha assicurato vantaggi solo a quei due stati, lasciando indietro il resto delle nazioni, dalla mancanza di diplomazia internazionale alla frammentazione di idee e sentimenti, anche ora di fronte all’implementazione di un tetto unico sul prezzo del gas. Per carità, il principio che l’unione faccia la forza è più che lodevole, però non è attuato in maniera efficace ed egalitaria tra tutti i membri, ed è questo il punto dolente che non riuscirò mai a digerire.

Persino la gestione della Brexit è stata fatta male, con negoziati che si sono protratti per anni, ed in cui alla fine è stato concesso alla Gran Bretagna più di quanto ci si aspettasse stando ai regolamenti vigenti. Certo, in tanti mi diranno che la Brexit ha causato un danno economico e sociale non indifferente agli inglesi, ma non dimentichiamo che la pandemia ha messo i bastoni fra le ruote a tutte le economie del mondo, ed i dati economici anglosassoni che fanno scattare campanelli d’allarme per gli osservatori, vanno contestualizzati in un quadro internazionale dove tutte le economie vanno male. Creare un nesso di causalità tra Brexit e stato dell’economia è tutt’altro che immediato: ci sono troppi fattori in ballo, e solo il tempo dirà se sia stata la mossa giusta o no. Personalmente, se dovessi scommettere un centone, punterei su una ripresa dell’Inghiterra più rapida rispetto al resto dell’eurozona, in un arco temporale di una decina d’anni. Perché queste cose non mostrano i propri benefici da un giorno all’altro, quindi è inutile spulciare i dati macro-economici immediati. E poi, ripeto, se la Gran Bretagna piange, il resto dei Paesi che sono ancora parte di questo club esclusivo non sta certo ridendo a crepapelle.

Anche all’inzio della pandemia, forse non te lo ricordi, l’Europa si dimostrò alquanto egoista. Ecco un passaggio in cui Sebastiano Barisoni, con cui condivido il 99% delle idee, ci ricorda di come l’Europa sovranista si atteggiava nell’aprile del 2020.

La mia critica principale all’Europa è la mancanza di una direzione centrale: ogni stato membro ha la sua politica fiscale, la sua politica economica, la sua politica in termini di immigrazione, e via dicendo. Ed ognuno pensa egoisticamente soltanto ai propri cittadini. Lo abbiamo visto quando arrivarono migliaia di immigrati dalla Siria e la Germania e l’Austria, che fino a poco prima invitavano l’Italia ad accogliere tutti, chiusero le frontiere a quei disperati, e nessuno fiatò. O quando le navi che Salvini non voleva in Italia furono rifiutate dall’Olanda, e tutti a guardare dall’altra parte? Ecco, questa cosa del due pesi e due misure mi fa proprio girare le scatole come le pale di un elicottero. E poi, diciamocelo sinceramente, in quanti si sentono davvero cittadini europei, piuttosto che tedeschi, francesi, spagnoli ed italiani? Chiaramente le identità e le storie degli stati membri avranno sempre un peso rilevante in qualsiasi progetto di unificazione, a cominciare dalla frammentazione linguistica, viscerale ostacolo ai più timidi tentativi di integrazione sociale. C’è poco da fare: un abitante di un paesello sperduto del sud della Grecia avrà poco a spartire con un danese o uno svedese, a prescindere da quello che vogliono farci credere sulla carta.

La mancanza di una politica fiscale ed economica unica, poi, fa sì che gli stati continuino a farsi concorrenza tra di loro, invece che presentarsi compatti sullo scenario internazionale (e lo dice l’Europa stessa, mica un pinco pallino qualsiasi). La gestione della crisi greca, di cui molti si sono dimenticati nel frattempo, lasciò molto a desiderare. Perché, anche in quel caso, la Germania dettò criteri atti a difendere la propria economia a discapito dei poveri ellenici (che certo santi non erano, per aver sperperato denari pubblici nelle maniere più creative). Quella situazione ha cementato il mio euroscetticismo: le questioni nazionali furono prevalenti per tutte le parti in gioco e fu rispondendo ad istanze nazionali che si determinarono le gerarchie interne alla Ue. Ma un processo di integrazione non può avere una natura gerarchica: dovremmo tutti essere trattati allo stesso modo, e non avere membri di serie A e membri di serie B. I benefici per i tedeschi, oramai è assodato, non furono gli stessi dei greci. Ma se a voi sta bene così, non posso certo essere io a farvi cambiare idea.

Commenti

  1. ha scritto:

    E quindi, vivendo in un Paese del continente europeo, cosa dovrei fare secondo te? Isolarmi o battermi duramente per quella integrazione fiscale ed economica che adesso manca?

    In quanto alla lingua, questo è un fatto… non siamo una nazione di 300/400 anni. Ciascuno di noi ha un paio di milleni di storia alle spalle e appianare le differenze e sottolineare le cose in comune è sempre difficile. Quando poi la propaganda miope di certe persone fa presa sul popolo che dimentica, illudendola che oggi puoi separarti dal resto del mondo, è ancora più difficile spingere l’acceleratore sui discorsi di integrazione.

    I difetti che hai elencati sono tanti, e per molte cose posso essere anche d’accordo. Se però dovessi scegliere dove campare, sceglierei sempre uno Stato europeo (o la Nuova Zelanda) piuttosto che altri…

    Risposte al commento di kOoLiNuS

    1. camu
      ha scritto:

      Parto dalla fine: anche a me la Nuova Zelanda è sempre piaciuta, continuiamo ad essere d’accordo su molti fronti. L’isolamento di certo è una strada pericolosa. Vedremo fra una decina d’anni, sempre che Putin non ci distrugga prima, se le cose andranno meglio in Inghilterra o in Europa. Io di certo sono stato molto contento quando venne annunciato l’esito di quel referendum inglese: ci propone un caso di studio concreto di come si muovono i due sistemi parallelamente. Poi è chiaro che ci sono millemila variabili (la qualità della classe politica inglese ed europea nei prossimi anni, altre catastrofi, ecc) che possono influenzare il verdetto finale. Ma sono curioso di sapere come andrà a finire, una volta che ci togliamo di torno la pandemia e la guerra, e l’economia tornerà a crescere ovunque, senza una zavorra esogena come ce l’abbiamo oggi.

  2. ha scritto:

    Concordo con quanto detto da Nicola, i difetti esistono ma sono lì per essere affrontati. La sfida invece è nobile e importante nel mondo di oggi. Sono fiero di essere europeo.
    Ciao,
    Emanuele

    Risposte al commento di Emanuele

    1. camu
      ha scritto:

      Rispetto il tuo sentimento, ci mancherebbe. Quello che mi perplime è che i difetti non vengono mai veramente affrontati, ma si continua a rimandarli di volta in volta, perché ad alcune nazioni (Germania, Francia, Olanda) alla fine conviene così. La discussione sul prezzo al tetto del gas ne è un esempio lampante. Insegniamo ai nostri figli che tutti nel mondo devono essere trattati allo stesso modo, a prescindere dalla religione, nazionalità e colore della pelle. Eppure non è quello che fanno i Paesi europei. Questa dissonanza cognitiva è quello che mi rende scettico nei confronti di questa istituzione. Ed il fatto che, ogni volta, sono i Paesi del sud (Italia, Spagna, Grecia) a prenderla in quel posto. Ci serve un presidente del Consiglio che sappia fare la voce grossa nei palazzi di Bruxelles, e non si piegi supinamente ad ogni loro decisione.

  3. camu
    ha scritto:

    Intanto, manco a farlo apposta, ecco la copertina dell’Economist di ieri…

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