Per due bimbe che condividono un bel pezzo di DNA, le nostre figlie non potrebbero essere più differenti nel modo in cui si rapportano con il mondo che le circonda. Alla piccola, che ha compiuto 11 anni da poco, qualche mese fa la maestra ha assegnato un compito per casa abbastanza complesso, che richiedeva di effettuare una ricerca online sulla storia dei dinosauri. Dopo aver tentato di trovare alcune informazioni su Google, ha gettato la spugna disperata ed è venuta in cucina piangendo “non so fare nulla!” Al contrario la grande, che fra qualche mese avrà la veneranda età di 14 anni, si comporta come se la sua intelligenza superasse quella di Einstein. Ogni volta che le facciamo notare qualcosa, non è d’accordo per principio, dalle banalità tipo usare la forchetta in un certo modo, alle relazioni con le proprie compagne di classe (i drammi che si consumano tra quelle mura scolastiche sono peggio delle telenovele sudamericane). Mi ricorda il figlio grande di Elasti. A volte Sunshine ed io ci chiediamo se l’autostima dell’una sia troppo bassa e quella dell’altra troppo alta. Ma esiste davvero un giusto equilibrio?
Guardando il modo in cui si comportano le compagne di classe di entrambe, mi chiedo se stiamo rovinando la generazione che ci seguirà. Vogliamo parlare di sport per esempio, e del fatto che tutti devono assolutamente vincere una medaglia, anche se non hanno fatto nulla per contribuire al risultato finale? Dicono che in questo modo si contribuisce allo sviluppo della loro autostima, ma ho miei dubbi sull’efficacia di quest’approccio, che di fatto mette di fronte ai loro occhi un quadro irrealistico in cui c’è sempre il lieto fine, no matter what. Peccato che la vita vera, quella in cui si scappa dalle bombe, si fa fatica ad arrivare a fine mese, e si deve aver a che fare con il collega rompiscatole ogni santo giorno, sia completamente diversa dalla finzione che raccontiamo a questi bambini.
Sono convinto che questo atteggiamento sia anche una delle cause del movimento contro il lavoro, o per lo meno il risvolto della medaglia. Perché se da un lato è vero che questa generazione di lavoratori è schiacciata tra i prezzi che aumentano ed i salari che non tengono il passo, dall’altro vedo che tanti ragazzi oggi sono molto più schizzinosi quando si tratta di lavorare. Non è forse vero che nel Belpaese c’è una continua carenza di personale in ambiti come la filiera della ristorazione, o nella balneazione? I giovani abituati ad essere serviti da mammà in ogni cosa, non vogliono certo mettersi a servire ai tavoli e dover sopportare i clienti di ogni genere, o in cucina a sudare, diretti in maniera rigida dal capo cuoco che, oddio, può redarguirli se fanno qualcosa di sbagliato. Forse mi sbaglio, ma a me sembra di vedere un nesso tra l’ossessione per l’autostima e questo problema del lavoro.
(da un articolo su The Atlantic) Per decenni, gli americani sono stati ossessionati dal concetto di autostima, una misura di quanta fiducia e valore le persone sentono di avere. Nel 1986, il governatore della California ha persino firmato una legge che creava una commissione per promuovere l’autostima e la responsabilità personale e sociale. Il loro rapporto finale concludeva che l’aumento dei livelli collettivi di autostima dei californiani avrebbe ridotto i tassi di criminalità, gravidanza adolescenziale, abuso di droghe, dipendenza dal welfare e scarso rendimento scolastico. Una bacchetta magica, un “vaccino sociale” in grado di debellare la maggior parte dei problemi personali e sociali che affliggono la nostra vita.
Ovviamente le cose non andarono proprio così. Un’elevata autostima, come rivelano studi più recenti, non è una panacea contro tutte le cose cattive e anche i bambini con un’alta autostima spesso fanno scelte sbagliate. E poi sembra essere un fenomeno prettamente occidentale, e più specificamente americano. Molti altri paesi, inclusi Giappone e Cina, non danno molta considerazione all’autostima (alcune lingue non hanno nemmeno una parola per definirla). Anche nelle società moderne orientali, le culture che pensiamo siano molto simili alla nostra non vedono necessariamente l’autostima con lo stesso insieme di ideali che vediamo noi.
Lodare i bambini in modo specifico per le loro capacità o intelligenza, cosa che fanno i genitori quando dicono cose come “Sei così intelligente!” o “Sei un grande artista!”, possono anche porre problemi. Una ricerca della psicologa Carol Dweck ha dimostrato che questo tipo di elogio, rispetto all’elogio dei bambini per il loro impegno, aumenta le possibilità che i bambini crollino di fronte ad un ostacolo e finiscano per avere un senso di autostima sgonfiato. Cominciano a mettere in discussione le qualità che gli adulti intorno a loro sembrano apprezzare così tanto. E con il tempo, cominciano a pensare a quella qualità in maniera astratta, non come qualcosa che può essere migliorato con la pratica.
Cosa dovrebbero fare allora i genitori per promuovere una sana autostima nei loro figli? Devono semplicemente smettere di essere ossessionati dal concetto. La ricerca ha dimostrato, ad esempio, che molti bambini dell’Asia orientale ottengono punteggi bassi nelle tradizionali misure di autostima, ma raramente soffrono di problemi psicologici o di conseguenza vanno male a scuola. L’autostima è solo uno dei tantissimi tasselli che i genitori possono usare per aiutare i loro figli.
Commenti
Fai mettere Checco Zalone al posto della maestra, vedrai come alla piccola crescerà l’autostima 😅
Risposte al commento di Trap
Eh magari! Ce ne vorrebbero di maestri come lui. Comunque mi raccontava una mia amica siciliana in visita a New York qualche giorno fa, che la situazione nelle scuole del Belpaese è diversa, ed agli studenti si richiede più lavoro e più disciplina che qui in America.