due chiacchiere

The Good Doctor, un medico autistico in corsia

Il professore del corso del master in disabilità ed inclusione sociale che ho seguito lo scorso semestre, una settimana ci ha dato il compito di recensire un film o serie televisiva che avesse una persona disabile come protagonista. L’obiettivo era analizzare l’uso di stereotipi o l’adozione di concezioni sbagliate che dessero un quadro distorto delle difficoltà che alcune persone si trovano a fronteggiare ogni giorno. Così ho approfittato dell’occasione per parlare di una serie TV che guardai l’anno scorso, ed ho pensato di conservare qui sul blog questa recensione. Come già dicevo a proposito di Doc, Nelle tue mani, per me quella di Gregory House rimane ad oggi l’unica serie impareggiabile, ma visto che l’autore di The Good Doctor era lo stesso, ero curioso di vedere cosa avesse tirato fuori dal suo cappello magico. Senza contare il fatto che il titolo mi ricordava un’altra serie che ho tanto amato, The Good Wife.

The Good Doctor è una serie televisiva medica americana basata sull’omonima serie sudcoreana del 2013. La storia del protagonista originale coreano, interpretato da un meraviglioso Joo Won, si dipana all’interno dei problemi economici dell’ospedale e delle difficoltà del protagonista nella gestione delle emozioni e delle relazioni umane. Il tentativo è quello di affrontare un tema già molto delicato, tanto più quando inserito in un contesto particolare come quello ospedaliero: l’autismo. Il protagonista, infatti, è un medico con la sindrome del savant, che mostra un’intelligenza immensa e una memoria eccezionale, ma si scontra ogni giorno con l’incapacità di integrarsi in un contesto sociale. Questa sindrome è stata osservata in persone con gravi disabilità mentali, incluso il disturbo autistico, che hanno una qualche “isola del genio” che è in netto e incongruo contrasto con l’handicap generale.

L’impostazione sembra realistica a prima vista: la sindrome di Asperger e quella di savant spesso compaiono entrambe in soggetti autistici definiti “altamente funzionali”; all’interno di uno spettro che va dalla disabilità totale (nei casi più gravi di autismo c’è assenza di linguaggio, un marcato deficit cognitivo e sociale e anomalie comportamentali incompatibili con l’autonomia del soggetto) al genio settoriale, l’autismo presenta infatti un’ampia gamma di declinazioni, le cui cause e origini appaiono ancora difficili da rintracciare, ma rivelano la presenza costante di una neuro diversità che induce il soggetto ad elaborare stimoli sensoriali e cognitivi in ​​modo diverso rispetto ai soggetti non autistici, interpretando la realtà fisica e le interazioni sociali in modi piuttosto caratteristici.

Per David Shore, uno degli sceneggiatori e produttori principali dello spettacolo, questa non è la sua prima avventura nel dramma medico. In qualità di creatore di House, M.D., ha già mostrato al suo pubblico come i medici e gli ospedali abbiano una dimensione molto più profonda e complessa di quella che vedono i pazienti quando si recano per un consulto. Le due serie hanno alcuni punti in comune: per entrambi, la trama principale ruota attorno a un dottore brillante ma imperfetto che si occupa di casi incredibili. Se la disabilità di questo giovane senza troppe inibizioni è evidente, quella del burbero predecessore è più sottile ed è racchiusa nel suo inseparabile bastone. E in entrambi i casi le loro personalità oscurano le loro imperfezioni.

Tuttavia, ci sono anche delle grosse differenze: al posto di Gregory House qui troviamo Shaun Murphy, un genio che ricorda a memoria interi libri di testo di medicina e riesce spesso a vedere ciò che i suoi colleghi ignorano, rimediando con imbarazzanti mancanze in ambito sociale. A differenza del dottor House, le cui abilità mediche sono famose in tutto il New Jersey, il dottor Murphy è a malapena preso sul serio dai suoi colleghi e superiori, e il suo principale sostenitore, il dottor Glassman, deve lottare duramente affinché le persone accettino Shaun e il suo talento. I flashback forniscono un contesto allo spettatore, colmando un po’ alla volta le lacune narrative: poco a poco apprendiamo che Shaun e suo fratello Steve sono scappati di casa per sfuggire a un padre violento. Un passato che ovviamente ha il suo peso nella psicologia del personaggio e diventa uno strumento per superare gli inevitabili ostacoli legati alla sua condizione.

Il Dr. Murphy presenta una memoria eccezionale, caratterizzata in particolare da due forme: la prima lo porta a collegare uno stimolo sensoriale contingente con un momento importante vissuto nel passato (che viene utilizzato come espediente narrativo per introdurre quei flashback citati in precedenza), il cui il carico emotivo è gestito con difficoltà dalla personalità sensibile di Shaun. La seconda forma di memoria potenziata è invece composta da eccezionali mappe mentali, formate grazie alla capacità di Shaun di memorizzare ogni dettaglio di un’immagine, sia essa una mappa stradale o un’illustrazione del manuale di anatomia. Questa capacità gli permette di orientarsi all’interno del corpo del paziente con straordinaria agilità, costantemente consapevole della struttura e delle vie vascolari degli organi che deve trattare.

Shaun può funzionare normalmente all’interno dell’ambiente protetto e conosciuto dell’ospedale e, proprio per questo, dove può compiere rigide e rassicuranti azioni rituali, mentre la mancanza di ordine e di prevedibilità del mondo esterno tendono a metterlo in crisi, rendendolo ipersensibile a numerosi stimoli sensoriali, specialmente quelli in movimento o luce. In tali situazioni, Shaun diventa irrequieto ed inaccessibile, esprimendo un deficit di attenzione uditiva che lo porta a non rispondere alle domande dell’interlocutore. Ma basta saperlo prendere per il verso giusto, riportandolo a una situazione ambientale più tranquilla e sostituendo la domanda con un’affermazione, e Shaun non resisterà al desiderio di dire la sua.

Sin dall’inizio, questa serie TV mi ha ricordato Rain Man, il film del 1989 che forse per la prima volta nella storia moderna ha presentato al pubblico l’autismo e la sua complessa galassia di sintomi. Oltre alla presenza di un protagonista disabile, in entrambi i casi ci troviamo di fronte al genio inaspettato contrapposto alla difficoltà di stare in mezzo agli altri. Questo potrebbe essere, tuttavia, il più grande difetto dei film e serie tv the si propongo di raccontarci l’autismo: la minuscola lente attraverso la quale viene rappresentata la condizione del protagonista. Il disturbo dello spettro autistico delineato nella serie fornisce solo informazioni su una delle tante varietà di autismo, anche se lo spettatore è portato a credere che  quanto narrato nei vari episodi sia tutto ciò che c’è da sapere al riguardo. Proprio come Tom Cruise scopre a proprie spese quanto si sbagliava di fronte a Dustin Hoffman a pensare che tutte le persone autistiche fossero dei geni dei numeri!

The Good Doctor punta i riflettori su una disabilità che in questi giorni viene sempre più citata nel discorso pubblico, dalla notizia di chi non vuole vaccinare i propri figli per paura che possano causare l’autismo, ai Giochi Paraolimpici, dove i volontari e gli allenatori con disturbo autistico forniscono un contributo inestimabile all’organizzazione. Ma chi come me ricorda ancora la serie TV “ER” degli anni ’90 che ci ha portato a credere che siamo tutti bravi a fare una tracheotomia con una penna a sfera, sa che c’è un abisso tra finzione e realtà, e questo vale per la condizione di Shaun e come lo descrivono gli autori. L’abisso dell’ignoranza mascherata da onniscienza: se da un lato questa è un’ottima serie dal punto di vista narrativo, dall’altro il pubblico deve stare attento a non credere che il show fornisce un quadro completo che dice tutto ciò che ci sia da sapere su questa disabilità.

Diamo un’occhiata a un esempio specifico: il sarcasmo. Il protagonista non ne comprende il significato o l’uso nelle prime puntate, tuttavia impara rapidamente ad applicarlo negli episodi successivi, come se avesse acquisito la comprensione di un concetto così complesso per magia, nel breve lasso di alcuni consigli dato al momento giusto. Questo è il cliché televisivo: un uso eccessivo del realismo sembra danneggiare il prodotto finale, spinto dalla necessità di raccontare storie autonome nell’arco di un’ora circa. Probabilmente le cose sarebbero potute sembrare diverse in un romanzo, in cui l’autore ha tutto il tempo per sviluppare i suoi personaggi e per arrivare lentamente al culmine della storia. Ma questo è un prodotto destinato alla televisione, con tutti i vincoli che questo comporta.

Commenti

  1. Trap
    ha scritto:

    Noi abbiamo seguito molto questa serie, peccato che dalla terza stagione in poi si sia un po’ rovinata. Non ha più il pathos delle prime stagioni.

    p.s. non funziona più il link “Lascia un commento”

    Risposte al commento di Trap

    1. camu
      ha scritto:

      Si, io mi sono in realtà arenato a metà della seconda stagione, i casi mi sembravano così ripetitivi, sempre le stesse malattie, ed il cast non riusciva a convincermi più. Peccato, perché la premessa era molto buona. In compenso sono riuscito a convincere la figlia grande a guardare House con me, chissà che non le venga l’idea di iscriversi a medicina 🙂

      PS: grazie per avermi fatto notare il problema, provvedo quando prima a sistemarlo.

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