Già ne parlavo un anno e mezzo fa: in America nascono molte delle tecnologie che tutto il mondo usa quotidianamente, eppure gli americani ancora sono molto indietro rispetto al resto del mondo per quanto riguarda l’adozione delle suddette tecnologie. Me ne sono accorto durante il mio recente viaggio in Italia, quando ho messo alla prova le mie carte di credito a stelle e strisce con i circuiti di pagamento italiani. Non solo tutto è andato più che liscio (tant’è che non ci è neppure servito prelevare del contante al bancomat), ma ho notato come ogni esercizio commerciale, anche il più sperduto lido in spiaggia, avesse a disposizione il POS portatile abilitato RFID per pagare con il cellulare o con la carta di credito. Qui in America, al confronto, dei negozi che visito di frequente, inclusi i supermercati e le catene della grande distribuzione, circa la metà ancora richiede di infilare la carta nell’apposita fessura per leggere o la banda magnetica o il microchip, e davvero pochissimi tirano fuori il cellulare dalla tasca per pagare la pizza. Senza contare che qui il cameriere si porta la carta alla cassa, invece di venire al tavolo con il POS portatile. Leggi il resto : Tecnologia tra Italia e Stati Uniti
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Mettiamo alla prova il backup
Da qualche decennio oramai, lo slogan ufficiale della Pirelli è il famoso “la potenza è nulla senza controllo”, che tutti almeno una volta abbiamo visto scritto su un manifesto o ascoltato in una delle pubblicità d’un tempo. Ed è proprio questo slogan che mi risuonava in mente l’altro giorno mentre facevo alcune prove di ripristino del backup di questo blog, in cui simulavo un attacco hacker che aveva compromesso il database. Già, perché avere un backup salvato da qualche parte non basta a mettersi l’animo in pace: in quanti non hanno mai provato ad usarlo per vedere se davvero funziona come dovrebbe? Il nostro sistemista all’università dove lavoravo prima aveva la buona abitudine di condurre un disaster recovery test ogni sei mesi, chiamando all’appello tutti gli interessati per fare la propria parte nel ripristinare la funzionalità delle applicazioni a loro affidate. Così ho deciso di fare lo stesso sul mio blog personale, mettendo alla prova i potenti mezzi di Supporthost in questo frangente. Leggi il resto : Mettiamo alla prova il backup
Anche le batterie sono stressate
In realtà volevo intitolare quest’articolo “Anche le batterie, nel loro piccolo, si stressano”, in omaggio ad un classico della letteratura comica italiana che diventò una mia grande fonte d’ispirazione ai tempi dell’università, ma per esigenze editoriali (all’omino talebano seduto sulla mia spalla piacciono i titoli corti) ho scelto qualcosa di meno prolisso. Quisquiglie a parte, l’ispirazione per il post di oggi mi è venuta quando, qualche settimana fa, ho acquistato un nuovo portatile (un Dell Latitude 5491 ricondizionato dalla casa madre, al modico prezzo di 230 dollari, per i più curiosi), per rimpiazzare il mio fedele Asus acquistato due anni e mezzo fa. Sebbene a livello di prestazioni quest’ultimo fosse ancora più che adeguato alle mie esigenze, il problema era la batteria (non rimuovibile), che oramai in meno di un paio d’ore passava dal 100% ad un misero 15% di carica. Sono andato a spulciare su eBay ed Amazon per vedere quanto costasse una batteria di ricambio, ed ho visto prezzi intorno ai 60 dollari. A questo si aggiungeva un complicato lavoro di smontaggio per aprire le viscere del portatile e rimuovere quella vecchia. Così, quando ho visto il Dell in offerta, non c’ho pensato due volte. Leggi il resto : Anche le batterie sono stressate
Strategie per un web sostenibile
Con buona pace di coloro che si accingono a celebrare il compleanno di Gesù concentrandosi sull’aspetto religioso e familiare del Natale, dobbiamo arrenderci alla cruda e triste verità che siamo nel bel mezzo del periodo più commerciale dell’anno. Specialmente con questi chiari di luna e la necessità dei commercianti di rastrellare qualche spicciolo in più, non c’è più freno alla tempesta di richieste a comprare di più, consumare di più, viaggiare di più, ed ovviamente essere online di più, per condividere con parenti ed amici il nostro parere su questo o quel prodotto. Con l’avvento dei social una quindicina d’anni fa, poi, l’aumento delle risorse necessarie a soddisfare la nostra sete di like, e la voglia di conservare e condividere in archivi sterminati tutto il ciarpame digitale che produciamo ogni giorno, è letteralmente esploso. Dopo aver accennato a quello che sto facendo per predicare bene e razzolare… bene nel mio piccolo, vorrei tornare oggi su quest’argomento per contribuire, come un emulo di Greta Thunberg, alla sensibilizzazione delle opinioni in materia. Per spronare chi passasse da queste parti a contribuire ad un mondo digitale più sostenibile. Leggi il resto : Strategie per un web sostenibile
Il futuro che non è arrivato
Correva il 2009 quando PayPal annunciava che avrebbe aperto la propria piattaforma agli sviluppatori di tutto il mondo, immaginando un futuro in cui avremmo potuto pagare il biglietto del cinema toccando un semplice schermo, o in cui avremmo potuto ordinare la spesa direttamente dal frigorifero. Fast forward al giorno d’oggi, nulla di tutto questo è successo veramente: si, abbiamo un rettangolino di vetro e silicio che ci consente di pagare toccando il ricevitore vicino alla cassa (quando tutto va bene), ma per il resto, la grande distribuzione non si è molto impegnata a mettere in campo queste nuove tecnologie per rivoluzionare davvero la vita dei consumatori. Eppure, specialmente in questi tempi in cui l’inflazione continua a sgranocchiare il nostro potere d’acquisto, la digitalizzazione potrebbe offrire tanti vantaggi: economici, ecologici, operativi. Leggi il resto : Il futuro che non è arrivato
Una montagna di dati per una sanità migliore
Quand’ero giovane ed ingenuo credevo nel potenziale positivo che grandi quantità di dati avrebbero avuto nel trasformare la società in cui viviamo. Mentre all’università imparavo le tecniche del cosiddetto data mining, la mia mente s’inventava scenari fantascientifici in cui algoritmi complicatissimi riuscivano a scoprire come curare certe malattie, rastrellando e spulciando tra milioni di fascicoli di pazienti alla caccia di sequenze familiari. Oggi quelle farneticazioni sono diventate realtà, con tutta l’intelligenza artificiale di cui siamo circondati. Peccato che l’avanzamento tecnologico sia frenato dalla paura (più che giustificata, sia ben chiaro) che questi dati vengano usati dalle grandi multinazionali per fare montagne di soldi, e non per il bene dell’umanità. Che tristezza doversi arrendere di fronte alla cruda verità secondo l’uomo è solo preoccupato per il portafogli. Leggi il resto : Una montagna di dati per una sanità migliore
Anche le automobili sanno tutto di noi
Qualche settimana fa Emanuele commentava che comprarsi un cellulare del gigante di Mountain View (meglio noto come Google, per i meno tecnologici) vuol dire legarsi a due mani agli impiccioni americani che vogliono sapere tutto di noi. E nella mia risposta mi ero ripromesso di scrivere un post in proposito. Poi quello stesso fine settimana, il caso ha voluto che uno dei podcast che ascolto mentre taglio il prato inglese fuori casa, 2024, parlasse proprio di questo tema. Da un punto di vista che in pochi, ancora oggi, considererebbero una fonte di preoccupazione per la riservatezza dei propri dati. Proprio per situazioni come quella descritta dal conduttore e dal suo ospite, io oramai ho rinunciato a combattere questa battaglia persa in partenza, perché mi sentirei quasi come un novello Don Chisciotte contro i mulini a vento della tecnologia mondiale. E non sono neppure un manicheo che considera la maggior parte di questi servizi come il diavolo in persona. La verità è che l’ingente messa in campo di risorse non si paga mica da sola, eppure la casalinga di Voghera non vuole scucire un soldo per usare queste piattaforme, dalla posta elettronica ai video su TikTok. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Leggi il resto : Anche le automobili sanno tutto di noi
Tutti hanno i nostri dati… tranne noi
Il buon Nicola di kOoLiNuS mi aveva mandato qualche settimana fa un articolo. Un intervento che affronta lo spinoso argomento di chi possiede la nostra vita digitale. Basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che in effetti tutto quello che facciamo online, dagli acquisti su Amazon alla foto del gatto su Facebook, passando ovviamente per la nostra casella di posta elettronica, risiede sui server di qualcuno che un giorno potrebbe tranquillamente decidere di staccare la spina, cancellando tutto in un millisecondo. Praticamente senza possibilità di ricorso da parte nostra: d’altro canto i servizi che usiamo quotidianamente, da WhatsApp a TikTok, sono tutti proverbiali caval donati, per i quali i fornitori di quei servizi non hanno nessun obbligo nei nostri confronti, se non quello di continuare a far soldi a palate. Ovviamente l’autore dell’articolo in questione si guarda bene dal proporre una soluzione. Se da un lato ci sono i temerari gli intrepidi che si affidano a soluzioni avanzate (e che richiedono un esborso economico), dall’altro non è immaginabile aspettarsi che la famosa casalinga di Voghera abbia tempo, competenze e denaro per appropriarsi dei propri dati. Leggi il resto : Tutti hanno i nostri dati… tranne noi