due chiacchiere

E se le aziende bruciassero i rifiuti?

Visto il post in cui condividevo l’incredibile storia della nascita dell’automobile alla fine dell’Ottocento, vorrei continuare sulla stessa falsariga ecologica. In questi mesi in cui la benzina ed il gas sono stati alle stelle, alcuni rispolverano una delle spine nel fianco del Belpaese: la carenza di termovalorizzatori, specialmente al sud. Stando a quanto riporta il Sole 24 Ore, l’Italia ha attualmente 37 impianti, per la maggior parte al nord, che smaltiscono circa 2.8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani all’anno, e producono complessivamente abbastanza energia per soddisfare il fabbisogno medio di circa un milione di famiglie. Dato che lo Stato arranca, non sarebbe bello se le aziende si organizzassero in consorzi per gestire i propri inceneritori e tenere lontano dalle discariche tutti gli scarti che producono ogni giorno? Oggi voglio parlarti di come Amazon, la Subaru ed una compagnia aerea americana bruciano i loro rifiuti commerciali per produrre energia. Chissà che qualche industria del Belpaese non decida di seguire questo esempio.

(da un articolo su CNBC, sito di economia americano) Nella contea di Stanislaus, nel nord della California, accanto a una discarica, c’è un’azienda che gestisce i rifiuti in un modo molto diverso: bruciandoli invece di seppellirli. L’impianto di recupero energetico gestito da Covanta, con sede nel New Jersey, sfrutta il vapore per produrre elettricità sufficiente per alimentare 18.000 case della zona. Una parte dei rifiuti proviene da società tra cui American Airlines, Quest Diagnostics, Sunny Delight e Subaru. “Quando una grande casa automobilistica come Subaru dice che non produce rifiuti che finiscono in discarica, vuol dire che hanno messo in campo politiche per la riduzione, il riutilizzo ed il riciclaggio dei materiali di scarto, e ciò che rimane viene spedito ad un impianto di termovalorizzazione”, ci dice Paul Gilman, dirigente dell’ufficio sostenibilità per Covanta, che ha più di 40 sedi in tutto il mondo.

Anche rivenditori come Amazon utilizzano questo metodo di combustione per smaltire i resi che ritengono non idonei a riciclare, rivendere o donare. Amazon ha detto alla CNBC che la distruzione dei resi inutilizzabili è in genere la loro “ultima risorsa”, anche se la società non dice quali strutture utilizza, visto che Covanta ha confermato di non avere nessun contratto con il colosso della vendita online. Circa il 10% delle 270.000 tonnellate di rifiuti che Covanta brucia nello stabilimento di Crows Landing, in California, a due ore di auto da San Francisco, proviene da aziende. Il resto proviene principalmente dalla raccolta dei rifiuti nei comuni vicini.

Un grande arnese prende spazzatura da un contenitore per metterla nell'inceneritore

Le aziende rappresentano “la parte in più rapida crescita del business”, continua Gilman, poiché un numero crescente di aziende cerca di ridurre il proprio impatto ambientale. Nell’impianto di recupero energetico di Covanta, i rifiuti vengono bruciati a temperature di circa 1.000 gradi centigradi. Ci sono quasi 40 chilometri di tubi intorno all’inceneritore, dove il calore trasforma l’acqua in vapore che fa girare una turbina, che a sua volta è collegata ad un generatore di corrente. Il processo crea anche carbonio e ceneri tossiche, ma a differenza delle discariche, non emette metano.

Secondo la Banca Mondiale, dei 292 milioni di tonnellate di rifiuti generati dagli americani ogni anno, più della metà viene messo in discarica, circa un terzo viene riciclato e il 12% viene incenerito in impianti di termovalorizzazione. Il commercio online, poi, pone un problema particolare. Non solo gli acquisti su Internet continuano a segnare nuovi record in termini di volume, ma i resi rappresentano, ad oggi, circa il 20% delle vendite, un numero evidentemente più alto rispetto agli acquisti in negozio. Secondo l’azienda Optoro, che si occupa della logistica di questi resi, negli Stati Uniti generano circa 3 milioni di tonnellate di resi che vanno a finire in discarica ogni anno.

Ma bruciare i rifiuti è ancora oggi un processo che produce tantissima anidride carbonica e non mancano le critiche. Neil Tangri della Global Alliance for Incenerator Alternatives (GAIA) sostiene che alcuni paesi usano troppo inceneritori inquinanti, basati su vecchie tecnologie. “La Danimarca ora si sta rendendo conto di bruciare troppi rifiuti e, se intende raggiungere i suoi obiettivi di emissioni di gas serra, dovrà ridurne l’uso drasticamente”, ha affermato Tangri. Più della metà degli stati degli Stati Uniti ha normative in atto che inquadrano la termovalorizzazione come una fonte di energia rinnovabile. A differenza delle discariche, molti governi e organizzazioni non governative la considerano una fonte di mitigazione dei gas serra. Dovendo scegliere fra combustione o seppellimento dei rifiuti, “è senza dubbio meglio bruciarli perché se ne ottiene valore energetico, metalli e si evita di immettere metano nell’atmosfera”, ha detto Thorneloe, dell’agenzia americana per la protezione dell’ambiente.

Alcuni esperti climatici statunitensi confermano che ci sono tre motivi per cui il processo di combustione produce una riduzione netta dei gas serra. In primo luogo, mantiene i rifiuti fuori dalle discariche, che emettono metano, che rimane nell’atmosfera molto più a lungo dell’anidride carbonica. In secondo luogo, gli impianti di termovalorizzazione riducono la necessità di estrazione mineraria perché recuperano 700.000 tonnellate di metallo ogni anno. Ed infine producono energia, riducendo la necessità di bruciare combustibili fossili. “Per ogni tonnellata di rifiuti che bruciamo, risparmiamo una tonnellata di CO2 che altrimenti creeremmo, ad esempio, bruciando un combustibile fossile”, ha affermato Marco J. Castaldi, direttore del Programma di scienze del sistema terrestre e ingegneria ambientale presso l’Università di New York.

Lascia un commento

Torna in cima alla pagina