due chiacchiere

Il Titanic delle pensioni italiane

Questo post non c’entra nulla con i recenti eventi dei 5 poveri disgraziati morti in fondo all’oceano. Durante una recente puntata della trasmissione radiofonica Uno, nessuno, 100Milan, il conduttore si è fatto una bella chiacchierata con Sergio Rizzo, editorialista del Corriere della Sera e vicedirettore di Repubblica, per parlare del suo ultimo libro Il Titanic delle Pensioni. L’annosa questione del futuro del sistema previdenziale italiano ritorna, di tanto in tanto, sotto i riflettori, quando questo o quel governo apporta delle modifiche all’età pensionabile, ai contributi necessari e via dicendo. In pochi, però, si rendono effettivamente conto della spirale perversa nella quale i nostri nonni ed i nostri genitori ci hanno lasciato. Da un lato si sono scritti regole per avere lauti benefici una volta raggiunta l’età prescritta (sistema retributivo, ti dice nulla?), e dall’altro non si sono preoccupati di mantenere un ricambio generazionale che potesse sostenere e pagare le loro pensioni.

L'insegna all'ingresso di un ufficio INPS

Durante l’intervista, l’autore spiega che, al contrario del sistema americano che investe e fa crescere buona parte dei contributi che riceve, quello italiano è cosiddetto a ripartizione. Il che vuol dire che i lavoratori di oggi stanno semplicemente pagando, con i loro contributi, le pensioni dei padri e dei nonni. Quindi è sbagliato pensare che quando andrai in pensione, in Italia, ti verrà restituito quello che hai versato in termini di contributi. Perché lo Stato non tiene da parte il tuo tesoretto personale, a mo’ di pensione integrativa. Questo è chiaramente diventato, negli ultimi decenni, un mix micidiale che adesso pende come un’ineluttabile spada di Damocle sui giovani d’oggi.

(dall’introduzione del libro di Rizzo) Correva il 1992 quando il governo di Giuliano Amato prese atto che il sistema pensionistico rischiava di fare crac. Da allora ogni governo ha fatto di tutto per mettere a rischio la sostenibilità della previdenza, mentre l’aumento dei posti di lavoro, l’unico vero antidoto, è rimasto pura propaganda elettorale. Il risultato è che già ora i contributi di chi lavora non riescono a coprire l’intera spesa. Il numero delle pensioni pagate è ormai pari al numero dei lavoratori attivi. Anche per la sopravvivenza di assurdi privilegi per alcune categorie protette. A cominciare dai parlamentari e dai consiglieri regionali, ai benefici incomprensibili per i militari, i dipendenti della Regione siciliana, i piloti e gli assistenti di volo, le decontribuzioni a pioggia per accontentare tutti. Fino all’esercito dei finti disoccupati agricoli e dei falsi invalidi civili.

Rizzo si lancia in questo libro in un’analisi dei tanti problemi che affliggono il sistema previdenziale italiano, e propone soluzioni politiche che richiedono un coraggio fuori da ogni ragionevolezza. Perché diciamocelo chiaramente, quale politico si azzarderebbe mai a mettere in campo una riforma strutturale che tolga privilegi e tocchi le categorie protette? La sua candidatura sarebbe dead on arrival, come direbbero gli americani.

Allora, mentre ascoltavo l’intervista, mi è venuto in mente il mio articolo di qualche settimana fa sul reddito di cittadinanza finanziato con le tasse sui robot. Abbiamo una popolazione che invecchia e meno giovani disponibili a fare i lavori più umili e mal pagati? Nessun problema: investiamo pesantemente nella robotica e nell’intelligenza artificiale, ed affianchiamo questi nuovi lavoratori a quelli in carne ed ossa, non solo nelle fabbriche. Facciamo produrre loro la ricchezza che poi rimpinguerà le casse dell’INPS ed affidiamogli serenamente il compito di farci da badante negli ultimi anni della nostra vita terrena. Non sarebbe tutto più facile?

Commenti

  1. Interessantissimo spunto di riflessione a metà tra una provocazione ed una possibile e concreta visione futura della realtà. Non so rispondere a questa tua domanda in modo netto perché da un lato la risposta più istintiva, immediata ed anche logica, sarebbe un Sì, ma poi mi domando: se questi robot – lavoratori messi a fare solo quei lavori che i giovani o gli italiani in generale si dice che rifiutino, facessero balenare nei datori di lavoro l’idea di non assumere più lavoratori in carne ed ossa ma tutti robot, almeno per i lavori che sono ripetitivi o non richiedono creatività, fantasia ed ingegno che accadrebbe? E poi gli stranieri che fanno i o le badanti come reagirebbero? Ed infine, last but not least, siamo sicuri che gli Italiani non vogliano fare certi lavori perché considerati umili o degradanti? In un servizio non ricordo più su quale network italiano, molti giovani italiani alla domanda perché non fai il cameriere nel ristorante X o il commesso nel negozio Y nessuno ha risposto “Perché è degradante” ma tutti “Perché ho 25 anni, 29 anni, 32 anni e vorrei un lavoro stabile e soprattutto pagato decentemente, e non 800 euro lordi al mese (fossero anche netti non cambierebbe molto) Tra l’altro i lavori precari non fanno accendere i mutui e quindi non si comprano più case e non si creano più famiglie e bye bye fare i figli…magari se la Meloni capisse che se vuole più famiglie con figli non è dando i bonus che li ottiene ma offrendo lavori stabili e decentemente retribuiti forse avremmo una politica del lavoro diversa. Per carità non è una difesa di PD e compagnia cantante, quelli venuti prima sono i maggiori colpevoli di tutto questo pasticcio. Quindi il mio è un NI perché subordinato a molte questioni che dovrebbero prima trovare soluzione. Solo allora potremmo capire se e quanti sono i veri lavoro che nessuno vuol fare ed in tal caso, limitatamente ad essi e con una normativa rigida e molto severa per chi la viola, dare via libera alla tua proposta…

    Risposte al commento di DANIELE VERZETTI ROCKPOETA®

    1. ha scritto:

      Capisco che non sia un argomento facile. Certo, le aziende potrebbero assumere un sacco di robot al posto degli umani, ma qualcuno dovrà fare la manutenzione di quei robot, e di tutto l’indotto che ne deriva. E poi, non dimentichiamo che il problema è proprio che la popolazione italiana sta invecchiando e che si è innescata questa spirale in cui nascono molti meno figli. Quindi alla fine le aziende fra qualche decennio non avranno proprio la manodopera da assumere, per mancanza di “materia prima” sul mercato. Riguardo alla cura degli anziani, qualcuno ci sta già pensando a quanto pare. Perché altrimenti dobbiamo accettare il fatto che la nostra cultura e la nostra identità sono destinate a scomparire nel tempo, rimpiazzate dal crogiolo di culture e razze che il Belpaese diventerà per sopperire alla mancanza di forza lavoro. Che può anche starmi bene, ma cosa succede se non troviamo abbastanza persone? Davvero vogliamo condannare noi stessi (da anziani) ad una vita di solitudine e sofferenza?

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