due chiacchiere

Smetto quando voglio

Prima di trasferirmi negli Stati Uniti, ho bazzicato per qualche anno i corridoi dell’ateneo dove mi ero laureato, all’inizio come collaboratore coordinato e continuativo (ancora oggi non riesco a dare un senso a quel titolo) e poi come dipendente tecnico del dipartimento di Sistemi Elettrici ed Automazione della facoltà di Ingegneria. Lì ho avuto modo di fare amicizia con alcuni ricercatori intenti a costruire bracci meccanici e piccoli robottini in grado di infilarsi nelle fognature per stendere nuove linee di fibra ottica senza squarciare le già malridotte strade cittadine del Belpaese. Così quando RaiPlay mi ha suggerito di guardare Smetto quando voglio, non ho potuto fare a meno di pensare a quei ragazzi che, proprio come nel film, si facevano un mazzo ma ricevevano pochissima gratificazione dei professoroni che li seguivano. La trama è semplice quanto geniale: un gruppo di ricercatori si stanca di fare la gavetta, e decide quasi per caso di mettere le proprie conoscenze al servizio del crimine, sintetizzando una droga legale con la quale inondare il mercato e fare soldi a palate. Prima di continuare, il solito avviso ai naviganti: nel seguito si fa cenno ad alcuni dettagli della trama, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, puoi anche fermarti qui.

 che si atteggiano da duri dentro un locale notturno

La pellicola si colloca a metà tra la commedia ed il dramma, raccontando storie di emarginazione sociale in cui si trovano a vivere i nostri protagonisti, dopo aver sudato le proverbiali sette camicie sui libri, ed aver acquisito competenze di tutto rispetto. Ma si sa, in Italia la meritocrazia non funziona da tempo, ed i poveri malcapitati finiscono per fare mestieri completamente diversi da quelli che sognavano: c’è chi fa il lavapiatti, chi è benzinaio, chi preferisce darsi al gioco d’azzardo. Tutti costretti ad arrangiarsi come possibile pur di portare qualche spicciolo a casa a fine mese. La parte drammatica è che, sebbene i tratti siano esagerati e volutamente satirici per motivi cinematografici, il film trae spunto dalla realtà che da decenni spinge i giovani a trovare soddisfazione all’estero, o ad abbandonare gli studi prematuramente per paura di rimanere fuori da un mercato che richiede tutt’altre competenze.

Il cast è il vero punto di forza: Edoardo Leo è fenomenale nella sua comicità, quasi timida, tipica dei personaggi che ha spesso interpretato. Quella voglia di essere un duro che si scontra con la goffaggine tipica dell’uomo medio di città. Ad accompagnarlo troviamo tante spalle robuste, ognuna con le sue caratteristiche comiche: a partire da Valerio Aprea, spassosissimo latinista convinto, per arrivare a Libero de Rienzo, economista da strapazzo finito in mezzo ai guai. Tutti abbandonati da uno Stato che dovrebbe assisterli, come menti brillanti nei loro rispettivi settori. Ma il finale è quello che colpisce e propone una nota positiva di incoraggiamento (solo quello ci rimane): quando si mettono insieme intelligenza e conoscenza, non è impossibile risollevarsi dal fango in cui si sta naufragando. Il film sembra aver riscosso un discreto successo, tant’è che ne hanno fatto una trilogia, con Masterclass ed Ad Honorem.

Commenti

  1. ha scritto:

    La realtà del mondo della ricerca, invece, è molto peggiore di come appare… e alla fine negli ultimi anni tranne chi è riuscito a salvarsi con le stabilizzazioni, si è visto un abbandono di questo mondo a favore dell’insegnamento o di fortunati (?) sbocchi nel mondo della promozione farmaceutica o prodotti per laboratorio che in rari casi ho visto maturare in qualcosa di più della “rappresentanza” commerciale.

    Risposte al commento di kOoLiNuS

    1. camu
      ha scritto:

      La cosa non mi stupisce troppo, durante i miei anni all’Unipi mi resi conto di quanto rigido fosse il sistema nel suo complesso, arroccato su certi princìpi e quasi organizzato come una casta intoccabile, alcune facoltà più rigide di altre. Il che può anche andar bene se hai vent’anni e non te ne frega ancora nulla della carriera e pensi solo alla ricerca che stai facendo, ma a quarant’anni diventa una palla al piede. Un mio caro amico anatomo-patologo ha fatto la gavetta per quasi quindici anni prima che gli abbiano offerto “il posto fisso” e l’abbiano sistemato.

  2. Trap
    ha scritto:

    Bellissimo film 🙂 Ti consiglio di guardare anche i suoi 2 seguiti

    Risposte al commento di Trap

    1. camu
      ha scritto:

      Grazie! Dovrò trovare un modo per procurarmeli, dato che non sono disponibili né su RaiPlay e né su Mediaset Infinity 😉

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