due chiacchiere

Lo chiamavano Jeeg Robot

Mi piace quando un regista italiano prova a reinterpretare in chiave tricolore quei tipici film d’azione americani, pieni di pistole e capitomboli che neppure i ginnasti olimpici potrebbero mai effettuare con tanta disinvoltura. Il film Lo chiamavano Jeeg Robot è stato, in tal senso, una gradita sorpresa scovata grazie all’app di Mediaset qualche mese fa. Gabriele Mainetti e Claudio Santamaria sono riusciti a confezionare una storia che si segue con piacere e che convince lo spettatore. Tanto che persino su Rotten Tomatoes ha riscosso un meritato 77% come giudizio del pubblico, cosa che non capita spesso tra le produzioni straniere, a volte sottovalutate dagli spettatori americani che apprezzano solo i film sparatutto con i supereroi della Marvel (per carità, piacciono anche a me, ma ogni tanto è bello variare, no?). Solito avviso prima continuare: qui nel seguito parlerò della trama del film, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, puoi anche fermarti qui.

Il protagonista di spalle su uno sfondo cupo e nuvoloso

Il titolo del film è un omaggio ad uno dei cartoni animati con cui noi ragazzi degli anni Ottanta siamo cresciuti, insieme a Goldrake, Gundam e Mazinga. Erano i tempi dei grandi robot pieni di missili ed alabarde spaziali che fronteggiavano in ogni episodio un nemico arrivato da chissà dove. Nel film incontriamo Enzo, un ladruncolo che abita nelle periferie di Roma, mentre scappa dalla polizia che lo sta braccando in seguito al furto di un orologio. Per cercare di far perdere le sue tracce, il malvivente si butta nel Tevere, dove entra in contatto con alcuni bidoni pieni di sostanze radioattive. Il malessere che si trova ad affrontare quella notte sembra lasciarlo per spacciato, ma stranamente la mattina dopo si rende conto di essere guarito. Il resto della storia si dipana tra gli anfratti meno conosciuti di una capitale in cui malviventi s’inseriscono in situazioni di disagio sociale, come quella della giovane Alessia, una ragazza con evidenti problemi psichici, rimasta sola dopo la morte del padre in una sparatoria. L’unica cosa che fa star meglio Alessia è guardare il suo cartone animato preferito, Jeeg Robot d’Acciaio. In tutto questo s’incastona il protagonista, scoprendo i vantaggi del superpotere che rende il suo corpo invulnerabile.

Ma proprio come dicevo all’inizio, la bellezza di questo lungometraggio è nell’approccio che usa per raccontarci la storia di Enzo. Non il tipico supereroe dei colossal hollywoodiani, ma un uomo qualunque che sa coinvolgere non solo gli appassionati di fumetti o cartoni animati giapponesi degli anni Settanta. C’è poi il rapporto riuscitissimo tra Roma, la sua lingua, le sue strade ed i personaggi che ne fanno parte: sono vivi e divertenti, ma non ricadono né nella commedia di cui sono pieni i cinepanettoni, né nel realismo sociale che i nostri registi impegnati amano frequentare. Roma ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore, dai tempi dell’università quando di tanto in tanto saltavo su un treno ed andavo a perdermi tra i vicoli meno turistici alle spalle di Piazza di Spagna o della Fontana di Trevi. E questo film ha riportato alla memoria quei momenti sospesi nel tempo.

Sia la sceneggiatura che la regia in questo senso sono impeccabili, perché si muovono con naturalezza senza mai strafare in una direzione o nell’altra. Claudio Santamaria è perfetto nel contrasto tra il carattere dimesso e il ruolo impostogli dai superpoteri. Luca Marinelli interpreta un giovane malavitoso con lo slancio di un diavolo della Tasmania e la grazia di una ballerina di flamenco. Ilenia Pastorelli (già vista interpretare una svampita in Non ci resta che il crimine) è brava a mescolare nel suo personaggio la ragazza sexy, il disagio della borgata e gli occhioni delle eroine dei manga. Questo è un film appassionante, che esalta, diverte e commuove con uno stile al quale, onestamente, non ero abituato.

Commenti

  1. Trap
    ha scritto:

    Visto e piaciuto! Genere strano per il cinema italiano, visto che non ne fa molti film.

    Un altro film italiano di questo genere che potresti guardare è Nirvana, del 1997, c’è anche un tuo gemello di tifo eh eh

    Risposte al commento di Trap

    1. camu
      ha scritto:

      Si si, con Christopher Lambert (ma che fine ha fatto dopo Highlander?) e Diego Abatantuono. Per me fu un film rivoluzionario, non dimentichiamo che erano i tempi di Matrix e della realtà virtuale a tutto spiano (come dimenticare la rivista Virtual che compravo ogni mese)

      Risposte al commento di camu

      1. ha scritto:

        Dimentichi un immenso Sergio Rubini …
        Tra l’altro Nirvana è molto, molto, cyberpunk nell’accezione dei romanzi di Gibson.

        Risposte al commento di kOoLiNuS
        1. camu
          ha scritto:

          Già, mi chiedevo sempre cosa pensasse Lambert durante i dialoghi tra lui e Rubini. Ok, mi avete fatto venire voglia di rivederlo adesso 😉

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