due chiacchiere

Gli ultimi saranno gli ultimi

Qualche settimana fa riflettevo sull’anacronisticità della festa della donna, che tra guerre e quant’altro, quest’anno è sembrata ancora più surreale del solito. E citavo un film con Paola Cortellesi che avevo visto l’anno scorso su RaiPlay, Gli ultimi saranno gli ultimi, di cui vorrei parlarti oggi, anche in occasione della festa dei lavoratori che si avvicina. La trama racconta di due storie parallele che finiscono per incrociarsi al momento opportuno, mentre sullo sfondo si delinea un ritratto desolante di un Paese che arranca ed annaspa nel mezzo di una crisi da cui non riesce ad uscire. Una pellicola che, a mio modesto parere, sottolinea come siano oramai finiti i tempi della commedia all’italiana a cui erano abituati i nostri genitori, che dipingeva un’Italia del dopoguerra contenta ed orgogliosa, sfrontata ed ingenua.

Un’Italia in cui Don Camillo e Peppone rappresentavano le colonne di un pittoresco scontro tra la cultura cattolica e benestante e quella comunista di protesta, ed offrivano la rassicurante certezza che c’era un certo ordine nel mondo. Oggi non è più così: l’occidente è diventato indecifrabile, ci sono movimenti civili, culture plurali, la destra e la sinistra si confondono, la religiosità si trasforma, la laicità e le ideologie si confrontano su altri terreni, e l’immigrazione modifica il nostro modo di guardare noi stessi e gli altri. Ed il cinema non può far altro che tenersi al passo con i tempi.

 

Cominciamo ricapitolando i fatti:

Luciana vive ad Anguillara, lavora in fabbrica ed è sposata con Stefano, disoccupato cronico pieno di idee multimilionarie ma refrattario all’idea di “stare sotto padrone”. Da tempo desiderano un figlio che non arriva, ma quando il loro sogno si avvera il datore di lavoro di Luciana si rifiuta di rinnovarle il contratto “a tempo determinato”, vista la gravidanza in corso. Antonio è un poliziotto veneto trasferito ad Anguillara con disonore e accolto con scherno dai colleghi. Appena arrivato si confronta con le peculiarità del paese, a cominciare dai ripetitori che trasmettono la messa dai citofoni e dai lavandini di casa. Il suo è un percorso di espiazione costellato dalle punizioni del capo e le mortificazioni dei compagni di pattuglia.

La prima cosa che ho notato guardando il film è la bravura della Cortellesi nel sapersi calare in un ruolo drammatico senza troppi problemi. Sin dai tempi di Tre uomini e una gamba ed in TV con Gialappa’s e soci, l’abbiamo spesso vista interpretare ruoli comici ed allegri, con personaggi solari e pieni di vita, malgrado le difficoltà della vita. Bravo anche Gassman, sono certo che il papà sarà fiero di lui, guardandolo da lassù. Un po’ sottotono invece Fabrizio Bentivoglio (il papà in Ricordati di me con Muccino), dato che la storia del suo personaggio viene raccontata a singhiozzo e con pennellate grossolane: il poliziotto avrebbe meritato più voce in capitolo, anche per dare un senso ancora più completo al colpo di scena finale. Ho avuto l’impressione che il regista si sia perso nell’esplorare troppo l’intreccio con la cubista trans Manuel.

Luciana ed il loro gruppo di amici mi ricordano, con un pizzico di nostalgia, i tempi in cui Sunshine ed io eravamo all’università, il nostro gruppo di amici inseparabili, sempre pronti a strapparci un sorriso anche nei momenti difficili. Un’armonia che, una volta sbarcati sul suolo a stelle e strisce non siamo più riusciti a ricreare: la cultura anglosassone che predomina in America tende ad essere più fredda e chiusa, ed entrare nei gruppi già formati non è mai troppo facile. Quindi conosco benissimo la forza che la coppia laziale riceve dai loro amici, la forza che li spinge ad andare avanti pur di fronte a tutte le avversità che la vita presenta loro. Gli amici, quelli veri, è quello che questa pellicola finisce per celebrare tra le righe. Insomma, una pellicola che merita di essere vista.

Intanto, buona festa della liberazione a tutti!

 

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