Una buona metà dei miei compagni di classe del liceo sono diventati insegnanti, forse ispirati da alcuni dei professori che abbiamo avuto all’epoca, che davvero nell’insegnamento ci mettevano anima e corpo. Quando hanno saputo che sarei stato per un paio di settimane nella mia terra natale, hanno organizzato una piccola rimpatriata, un po’ come nel famoso film di Carlo Verdone, ma senza tutto il dramma raccontato in quella pellicola. Giusto un gruppetto di amici che si rivedono dopo, ohibò, 30 anni, in un localino in riva al mare, a fare quello che loro hanno chiamato un apericena (io sono proprio un Matusalemme a non sapere queste cose!), ovvero qualche stuzzichino di frittura di mare, focaccine ed altre cose sfiziose. Guarda caso, proprio quella sera passava da quelle parti il nostro prof di matematica del liceo, e per qualche ora ci siamo messi a ricordare i bei tempi spensierati fatti di Timberland e Top Gun, di feste di fine d’anno e drammi adolescenziali.
Ad un certo punto il discorso è caduto su come si è evoluta la didattica nel Belpaese in questi 30 anni. Mi hanno raccontato degli stage Erasmus che i ragazzi delle scuole superiori ora fanno anche all’estero, con fondi e contributi provenienti da ogni posto. Mi hanno raccontato della possibilità di fare un anno (mi pare il quarto) di liceo all’estero, e di vedersi riconosciuti i crediti formativi per completare il proprio percorso didattico in Italia. I ragazzi possono persino venire in America, dove studieranno e vivranno proprio come i loro coetanei a stelle e strisce. Un’iniziativa lodevole, direi, specialmente per dare l’opportunità ai giovani di far pratica con l’inglese: non c’è miglior modo di assorbire una lingua straniera che immergersi in quella cultura per un certo lasso di tempo. Il sistema, ovviamente, funziona anche al contrario. Ed in effetti i miei compagni mi dicevano di aver avuto un paio di studenti americani, e di averne notato tutte le lacune accademiche al confronto con i loro coetanei italiani. Ma che il sistema americano scolastico americano sia più all’acqua di rose rispetto all’Italia non è certo una novità.
Mi hanno parlato dei test Invalsi, e di come si stiano riformando le scuole anche nel Belpaese. Come dicevo lo scorso Gennaio, qui in America non esistono il liceo o la ragioneria, ma piuttosto una scuola superiore comune nella quale sono raccolti i vari indirizzi disponibili per gli studenti. Ogni comune ha una high school (le metropoli ovviamente ne hanno di più), che offre le materie di base obbligatorie per tutti, ed un lungo elenco di altre materie per personalizzare il proprio piani di studi. Ad esempio, la figlia grande quest’anno è al primo anno delle superiori, ed ha scelto l’indirizzo umanistico, quindi farà più classi di letteratura, di storia, lingue straniere (no, l’italiano non era tra le scelte possibili) e via dicendo. Da quello che mi dicevano, anche l’Italia si sta muovendo in maniera molto più aggressiva in questa direzione, e persino all’interno del liceo esistono adesso vari indirizzi e specializzazioni. Per non parlare del tempo prolungato: meno compiti, più studio insieme (lo sai, io sono sempre stato un gran fautore del metodo della classe inversa). Tutto questo affiancato dagli ITS, di cui avevo già sentito parlare l’anno scorso.
Quello che non capisco, però, sono gli articoli che spesso si trovano in rete, e che raccontano di un sistema scolastico antiquato, o troppo stressante per giovani d’oggi. C’è persino chi scrive argomentazioni chilometriche in proposito. Forse, come dicevano gli antichi romani, in media stat virtus: esistono situazioni d’eccellenza e situazioni che lasciano un po’ a desiderare. L’importante, secondo me, è provare a svecchiare il sistema, e trovare il giusto compromesso che vada bene nel contesto culturale e sociale in cui si pone. Perché non esiste una soluzione ideale da applicare a tappeto ovunque: ogni realtà ha le sue sfide da affrontare e le persone che combattono ogni giorno in prima fila (insegnanti in primis), cercano spesso di fare del loro meglio portando avanti una sfida che è più una missione di vita che un lavoro.
Commenti
A dir la verità, leggendo la prima parte sembrava che dovessi rivivere dalla realtà il film “Immaturi” eh eh 🙂
Anche qui tanti fanno il cosiddetto Erasmus delle superiori, e il figlio della mia ex collega è andato per un anno negli Stati Uniti, in Arkansas, mentre la figlia di un’altra collega in Svezia.
Risposte al commento di Trap
Una figata! Magari l’avessi avuto ai miei tempi…