due chiacchiere

Inaccessibilità delle notifiche sulla privacy

Il bannerino per accettare o negare il consenso sui cookie, qualunque sia la tua opinione al riguardo, è oramai un fastidioso accessorio praticamente onnipresente sui siti europei. Ciò che tanti sottovalutano, però, sono le implicazioni legali dal punto di vista dell’accessibilità. Oggi vorrei prendere spunto da un articolo su Smashing Magazine, in cui un esperto delle Web Content Accessibility Guidelines (WCAG) condivide alcuni dei problemi introdotti da questi bannerini, e quali soluzioni possiamo mettere in campo per ritrovare la retta via e restituire alle persone con disabilità visive il controllo delle pagine web che stanno navigando. Premesso che già l’agosto scorso avevo espresso la mia opinione in merito a questo requisito introdotto alcuni anni fa dalle Linee Guida europee per la protezione dei dati personali, oggi mi concentrerò principalmente sulla questione tecnica.

La bandiera europea sullo sfondo di alcuni biscotti morsicati

Ricordiamo brevemente che le linee guida per l’accessibilità dei contenuti web esistono, nelle loro varie incarnazioni, da più o meno 25 anni, ed hanno sempre rappresentato il punto di riferimento per gli sviluppatori del web in giro per il mondo, per costruire un web più inclusivo in cui la tecnologia si pone come rimedio, e non come ostacolo, alle barriere fisiche che una persona disabile si trova di fronte ogni giorno. Dai sottotitoli nei video all’uso di descrizioni alternative per i lettori vocali, dal web semantico alla dimensione variabile del testo, negli anni tutte queste soluzioni hanno consentito di creare un ecosistema in cui tutti possiamo interagire in maniera naturale ed intuitiva. E quando dico tutti, intendo anche i bot dei motori di ricerca, e perché no, gli agenti di intelligenza artificiale che scandiscono il web per diventare più… intelligenti. Insomma, un web accessibile ha vantaggi per tutti, ed oggi non richiede di rinunciare a nessuna soluzione creativa immaginata dagli uffici marketing più artistici.

Esistono persino strumenti automatici in grado di scansionare una pagina per individuare possibili problemi di struttura e contenuto. Senza entrare nel merito di quest’operazione, basta ricordare che le linee guida, per dare maggiore flessibilità agli addetti ai lavori, offrono tre livelli di conformità, dal più semplice al più restrittivo. Comunque non vi sono mezze misure: non si può dire che un sito rispetti il livello 1 e mezzo, come ricorda un passaggio delle linee guida:

Conformità a uno standard significa soddisfare tutti i requisiti dello standard. In WCAG 2.0, i requisiti sono chiamati criteri di successo. Per conformarsi alle WCAG 2.0, è necessario soddisfare tutti i criteri di successo, ovvero certificare che non esiste alcun contenuto all’interno del sito che violi quei criteri.

In teoria, tutti i siti della pubblica amministrazione, ad esempio, dovrebbero superare questi criteri per legge, pena sanzioni e altre conseguenze. In pratica, come vedo nelle mie peregrinazioni quotidiane in giro per la rete, le cose sono tutt’altro che rosee. E l’aver appiccicato alla rinfusa il bannerino per soddisfare i requisiti della GDPR, ha reso molti di quei siti ancora meno accessibili. Vediamo alcuni dei problemi tipici riscontrati dall’autore dell’articolo su Smashing Magazine:

  • Errori di contrasto. Spesso il messaggio viene aggiunto usando soluzioni di terze parti che non tengono conto della gamma di colori o del carattere tipografico usati nel sito, e che quindi introducono inconsistenze e problemi di contrasto insufficiente, che rendono la lettura del testo all’interno del banner difficile se non in alcuni casi impossibile (criteri di successo 1.4.3 e 1.4.11). Per risolvere quest’inconveniente, bisogna adottare soluzioni che consentano di personalizzare i colori del testo, dello sfondo, e di eventuali elementi grafici (pulsanti, icone), per renderli il più possibile simili al resto del sito.
  • Pseudo pulsanti. Un altro problema che esiste anche in altri ambiti, e che mi ha dato più di un grattacapo in passato, è l’uso di div o span a cui vengono attaccati eventi di clic, per farli comportare come collegamenti o pulsanti. Questi controlli possono avere lo stile di pulsanti ma mancano delle informazioni semantiche di un pulsante, necessarie a chi usa un lettore vocale per consultare la pagina. Inoltre, questi controlli di solito non sono neanche attivabili da tastiera tramite il tasto Tab (criteri di successo 2.1.1 e 4.1.2). La soluzione? Evitare questi approcci fantasiosi, ed affidarsi al buon vecchio button.
  • Semantica interrotta. Molti banner sono inseriti al di fuori della sequenza logica della pagina, spesso come div posizionati in maniera fissa o assoluta, che finiscono per confondere il visitatore che usa la tastiera per navigare sul sito. Diventa quindi difficile sia trovarli che interagire con loro, di fatto rendendo nulli i buoni propositi della GDPR per certe categorie di utenti. La soluzione? Affidarsi al nuovo elemento dialog (sul quale sto preparando un post a parte) che finalmente ci consente di buttare nel cestino decenni di soluzioni inaccessibili basate su Javascript e fogli di stile pieni di codice complicato.

In conclusione, questo post vuole essere un modo per aumentare la consapevolezza del problema, e sensibilizzare gli esperti del settore a fare di meglio. Perché un web più accessibile è un web più utile. Per tutti.

Commenti

  1. Non mi stupisco di quanto scrivi, è la ciliegina marcia su una torta avariata. Quante volte siti istituzionali o comunque legati alla P.A. quando c’è da scaricare un modulo che riguarda una sia pur minima categoria di persone, i siti che sia INPS o siti di ministeri italiani, vanno in crash per sovraffollamento dopo pochi minuti. Possibile che essendo siti consultabili da tutti gli Italiani o cmq molti, non siano studiati in fase di nascita in modo da reggere il p iù alto numero di utenti collegati nello stesso istante? Eppure non deve essere impossibile, penso a siti non pubblici ma che nel loro piccolo hanno problemi analoghi sia pure di portata numerica inferiore ma sempre importante, come ad es Ticketone o siti come Amazon. Quindi i problemi di cui tu tratti in questo post secondo me per loro non esistono nemmeno, purtroppo. E poi tutto questo polverone sulla privacy quando cmq i tuoi dati ed i tuoi gusti li sanno lo stesso. A proposito dell’accettazione dei cookies ti porto all’attenzione un fastidioso particolare che sicuramente tu già conoscerai, ossia il fatto che già da un po’ di tempo se clicchi su quasi un qualunque sito di un quotidiano italiano on line, prima ti chiede se accetti o rifiuti i cookies poi se però tu rifiuti ti compare un altro banner o scritta che ti dice:”O li accetti o li rifiuti ma ti abboni” Come dire o dici sì a gratis o dici sì e paghi pure. È lecita? Interessante il tuo spazio, tra l’altro vivi negli States, ( l’ho scoperto curiosando un po’ qui da te) quindi su molte cose avrai la possibilità di osservarle sotto un’altra angolazione.

    Risposte al commento di DANIELE VERZETTI ROCKPOETA®

    1. ha scritto:

      Benvenuto, Daniele. Vedo che la pensiamo allo stesso modo su varie questioni… Proprio di siti che sono fatti con i piedi parlavo con un mio collega l’altro giorno, specialmente quelli che offrono un servizio pubblico. Qui in America, ad esempio, se vai a farti un esame clinico all’ospedale, poi loro hanno un portale dove puoi vedere il referto, interloquire con il medico che ha letto l’esame, inviare il pagamento e via dicendo. Quello del mio ospedale è davvero scandaloso, eppure con la sanità privata che c’è qui ci si aspetterebbe qualcosa di più funzionale ed intuitivo.

      Sulla privacy, concordo con quello che dici. Tutti sanno tutto di noi a prescindere, e quello che rattrista è vedere che il proibizionismo dei talebani della privacy porta le aziende ad essere più scaltre nel vendere quei dati al miglior offerente (Cambridge Analytica, anyone?). Se invece si affidasse la raccolta di questi dati ad enti pubblici che poi potrebbero usarli per fare data mining, ad esempio nel campo medico, ed usarli per il bene di tutti, oggi non ci troveremmo a combattere “a vista” malattie di ogni tipo. Abbiamo miniere d’oro di dati che buttiamo via ogni giorno solo per l’ossessione della privacy.

      Perché il mondo non è governato dai capi di stato, è governato dalle multinazionali della tecnologia. Ma tutti continuiamo a fare finta di nulla…

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