Come ho già detto varie volte, sto attraversando una fase della mia vita in cui mi sono stancato del machismo dei personaggi americani sempre armati fino ai denti, pronti a salvare la situazione tra salti improbabili da un grattacielo all’altro ed esplosioni teatrali altrettanto inverosimili. Così, quando mi stendo la sera sul divano a digerire la cena luculliana preparata da Sunshine, approfittando del fatto che le figlie adolescenti vanno a rinchiudersi nelle loro stanze e non monopolizzano più la TV del salotto come facevano da piccole, mi ritrovo sempre più spesso ad aprire la app di RaiPlay per soddisfare quella voglia di qualcosa… di buono, come diceva la pubblicità una volta. Un paio di mesi fa ho letto sui giornali italiani della polemica scatenata da una serie TV che non conoscevo, Rocco Schiavone. E così ho iniziato a guardare per curiosità il primo episodio.
I polizieschi, ad essere sincero, non sono mai stato il mio genere preferito. Forse perché da piccolo, spesso rimanevo a casa di mia nonna quando i miei uscivano con gli amici, e lei era una fan sfegatata dell’ispettore Derrick. Così alla tenera età di 12 anni circa devo essere rimasto per sempre traumatizzato dalle avventure del poliziotto tedesco più inespressivo della storia della televisione. E da allora ho sviluppato come una repulsione verso questo genere, preferendo più le commedie, la fantascienza ed ovviamente i film distopici più di recente. Solo con Montalbano ero riuscito a superare lo choc d’infanzia, anche grazie al fatto che la serie fosse proprio ambientata nelle zone dove sono nato e cresciuto. Poi nulla.
Certo, sembra che ogni dettaglio sia appositamente diametralmente opposto al corrispondente del commissario siciliano: dall’estrema punta meridionale di quest’ultimo all’estrema punta settentrionale di Rocco, dal carattere caldo ed estroverso di Salvo a quello burbero ed asociale del poliziotto romano, giusto per citarne un paio che saltano all’occhio immediatamente. Comunque, quando i titoli di coda del primo episodio sono apparsi sullo schermo, ammetto che un po’ ho mi sono dovuto ricredere sulla mia intolleranza verso i polizieschi. Perché Rocco Schiavone non ha nulla a che spartire con i suoi colleghi nordeuropei, compresa Sarah Lund, che ho scoperto grazie ad un ex collega all’università. Senza contare il fatto che Marco Giallini a me è sempre piaciuto, a prescindere dal ruolo che ricopre. Prima di proseguire, il solito annuncio ai naviganti: nel seguito svelerò dettagli delle varie stagioni, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, fermati pure qui.
La prima cosa che ho notato finora guardando le prime tre stagioni è l’uso onnipresente di sigarette. Va bene che fa parte del personaggio, ma davvero in Italia si fuma così tanto? Forse è che qui non si vede mai una sigaretta in televisione, e quindi mi sembra una cosa strana ed alquanto esagerata. Per me che non ho praticamente mai fumato, se non qualche cosa per curiosità ai tempi dell’università (ma non dirlo a nessuno, mi raccomando), è un elemento narrativo che quasi distrae lo spettatore dalla storia stessa. Ma come si dice in questi casi, de gustibus non est disputandum.
La seconda cosa che ha colto la mia attenzione sono le colonne sonore aggiunte con maestria tra le varie scene. Io non sono uno che si commuove facilmente, ma ammetto che queste musiche hanno pizzicato una corda nascosta nel mio cuore. Così ho fatto un po’ di ricerca ed ho scoperto che sono state composte da un gruppo che si fa chiamare La bottega del Suono, a cui fanno capo Pierangelo Fornaro e Corrado Carosio. Mia figlia fa lezioni di pianoforte, e sto cercando di convincerla ad impararne almeno una, tanto sono belle secondo il mio modesto parere. Anzi, giusto per non perderne le tracce, ho deciso di salvarne una qui sul blog, così di tanto in tanto posso venire ad ascoltarla per tirarmi su il morale.
Scavando un po’ più a fondo, alla fine ho capito perché il il personaggio mi è piaciuto: mi ricorda per molti versi il dottor House, che tanto ho apprezzato all’epoca. Ma chi è Rocco Schiavone? Ecco cosa dice Wikipedia:
Rocco Schiavone, un vicequestore della Polizia vedovo da molti anni, è stato trasferito per motivi disciplinari da Roma, sua città d’origine, ad Aosta. Ritrovatosi catapultato in una realtà che mal sopporta, completamente diversa da quella in cui è sempre vissuto, Schiavone porta comunque avanti il suo lavoro investigando sui crimini che scombussolano l’apparentemente tranquillo capoluogo valdostano, ricorrendo sovente a metodi al limite della legalità. Presenza costante nella sua vita è il ricordo della mai dimenticata moglie Marina, che sotto forma di allucinazione ne riempie la quotidianità.
L’atmosfera oppressiva e pesante che pervade l’intera serie rende tangibile lo stato d’animo di questo vicequestore (attenzione a non chiamarlo commissario!), i cui metodi lo catapultano suo malgrado in una realtà completamente diversa dal suo ambiente romano. L’odio che prova per il suo lavoro contribuisce a dipingere un quadro estremamente realistico, creando un contrasto efficace tra l’eterno umore cupo del protagonista e le bellezze naturali circostanti che, purtroppo, non riesce ad apprezzare. Il suo rancore verso la città si manifesta chiaramente nella sua ostinata resistenza ad adattarsi, continuando a indossare ad esempio abiti e calzature più adatti a una passeggiata lungo le rive del Tevere anziché alla neve e alle temperature gelide di una valle alpina.
Il canovaccio prevede alcuni personaggi di contorno che rendono la narrazione più emotiva, a partire dal fantasma della moglie uccisa durante un agguato, che ritorna per ispirare Rocco durante i momenti più difficili. Poi c’è il poliziotto campano, che finalmente ricopre un ruolo non solo di giullare inutile come spesso sono usati i personaggi di quella regione (e del sud in genere) nelle varie produzioni italiane. Casella (Gino Nardella) è anzi un uomo intelligente, e pure molto timido, come si scopre nelle stagioni successive, un uomo che zitto zitto fa il suo lavoro senza infamia e senza gloria. Ovviamente il giullare non manca: D’Intino (Christian Ginepro) ed il suo accento abruzzese sono usati per alleggerire la tensione nei momenti più difficili, e quasi sempre riesce a strappare un piacevole sorriso allo spettatore.
Senza farla troppo lunga, l’ho trovata una serie piacevole, in cui i personaggi sono ben caratterizzati, talvolta in modo talmente marcato da rischiare di oscurare la trama poliziesca degli episodi. Marco Giallini conferma ancora una volta il suo talento poliedrico, riuscendo a passare in modo fluido e impercettibile dall’umorismo al dramma all’interno della stessa scena, e a dare una marcata personalità al protagonista. Tutte le puntate ripetono alcuni passaggi in maniera prevedibile ma sempre divertente, come la visita di Rocco e del suo aiutante Italo all’obitorio, che finisce sempre con quest’ultimo a vomitare. D’altro canto, il semplice fatto che la sesta stagione sia già in lavorazione, vuol dire che in tanti nel Belpaese avete apprezzato questo mix dolceamaro di sensazioni e situazioni.