due chiacchiere

Le parole dialettali più arcane

L’altro giorno Sunshine ed io commentavamo lo spreco e l’abbondanza a cui sono abituati spesso gli americani: nei ristoranti è quasi maleducazione finire tutto il cibo che si ha nel piatto, molte famiglie hanno due o tre SUV con sette posti, anche se poi li usano solo per andare alla stazione a prendere il treno per recarsi in ufficio, e via dicendo. Mentre si chiacchierava, Sunshine ha usato una parola che sua mamma era solita tirar fuori per esprimere proprio quest’opulenza ostentata: la rascia. Non è dato sapere se sia una vera parola del dialetto campano che lei parlava, Google non mi è stato molto d’aiuto in tal senso. Però mi ha fatto venire l’idea per il post di oggi, in cui vorrei coinvolgere i miei piccoli lettori, per condividere quelle parole del proprio dialetto così inusuali ed incomprensibili. D’altro canto, ho sempre avuto un debole per i dialetti del Belpaese: m’inebrio di suoni ogni volta che sento parlare un abruzzese o un veneto, un pugliese o un romano verace (dè Latina! per citare il film Paparazzi con Abatantuono).

Questa cosa dei dialetti è una passione che ho avuto sin da piccolo, quando tornato da scuola, andavo a casa di mia nonna (quella delle polpette) e lei mi raccontava della bruccetta (la forchetta) e del tumazzo (il formaggio) della sbriula (una gigantesca tavola di legno per impastare) e della camurria (da cui trae origine il mio nome d’arte). Oggetti e situazioni facenti parti di una tradizione genuina e casalinga in cui tutta la famiglia si riuniva intorno ad una conca metallica riempita con del carbone acceso per riscaldarsi (alla faccia del monossido di carbonio) e stare in compagnia mentre gli uomini di casa sorseggiavano un po’ di vinello locale dal proprio carratidduzzu (una piccola borraccia fatta in legno, quasi come una mini botte). Io passavo ore ed ore ad ascoltare le sue storie, che a volte raccontavano le avventure degli avi o di lei stessa quand’era piccola, ed intrecciavano fantasia e realtà con la bravura che solo le nonne di una volta avevano.

E così mi è venuta l’idea di chiederti di condividere qualche parola (possibilmente incomprensibile) del tuo dialetto, e la sua traduzione in italiano, per rispolverare insieme un po’ della bellezza e della genuinità delle nostre radici culturali.

PS: non ho resistito a condividere questo post su Reddit, e visto il grande successo, ho subito capito che, mettendo per un attimo da parte tutto il resto,  l’Italia dai mille colori e dalle mille culture è proprio bella.

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