In questo giorno di festa per il Belpaese, vorrei pescare fuori dalla pila di spunti di riflessione un breve intervento di Gramellini di qualche mese fa, che si riallaccia a quella notizia che abbiamo letto di una classe di studenti che ha deciso di rintracciare il loro vecchio professore solo e malato:
Quante volte nello svolgere azioni quotidiane ci batte ancora forte il cuore? In giro si vedono assuefazione, ossessione e finta trasgressione, ma pochissima passione. Ormai sembra che la vita si possa affrontare soltanto così: con disincanto, cinismo e sarcasmo, il fratello sgraziato dell’ironia. Ci si definisce in contrapposizione a chi si odia e si chiamano passioni i propri pregiudizi.
Si parla con la testa ad altre teste, e con la pancia ad altre pance. La parola «cuore» è stata bandita dal lessico dominante per il suo elevato tasso di glicemia. Ma la meravigliosa storia del professor Gastaldi e dei suoi eterni allievi ci ricorda che noi riusciamo a lasciare un segno nella vita degli altri solo quando siamo trasfigurati da una passione. Quando cioè quello che facciamo ci fa battere forte il cuore.
In fondo è esattamente quello che dico alle mie figlie, che essendo nel mezzo del cammin (scolastico) di loro vita, alle scuole medie, già iniziano a pensare a cosa vogliono fare da grandi. La grande sarà al liceo l’anno prossimo, ed invaghita da serie TV come House e Grey’s Anatomy, pensa di voler essere un medico, sia per il gusto di risolvere i misteri (è sempre stata appassionata di gialli), che per il piacere di aiutare il prossimo, ed anche perché i medici guadagnano bene tutto sommato 😅 Ed io le ricordo allora che non vale nulla avere montagne di soldi, o fare di tutto per diventare l’orgoglio dei genitori, se alla fine della giornata non si fa qualcosa con una passione che ci faccia battere il cuore. A me e Sunshine non importa che diventino ricche e famose, perché i sogni a volte si realizzano ed a volte no, ma la passione è tutto quello che ci rimane.
La passione è l’anticorpo naturale della paura, e dovremmo insegnarla ai giovani nelle scuole, se volessimo davvero sostenerli nella scoperta e costruzione di sé. Me ne accorgo spesso qui nel Paese a stelle e strisce, anche ascoltando quello che mi racconta Sunshine delle sue esperienze da insegnante di sostegno: proteggendo i nostri figli dalle sensazioni forti, eliminando parole che possano urtare la sensibilità dei più fragili, stiamo incoraggiando lo sviluppo di una generazione che non ha più empatia, che non riesce a connettersi con il vicino di banco per paura di ferire i suoi fragili sentimenti. Ho l’impressione che in Italia le cose vadano diversamente, e che ai ragazzi, sebbene siano lasciati soli e si sentano schiacciati dal peso dell’incertezza che li circonda, sia lasciata l’opportunità di vivere sensazioni importanti da parte della società. Mi sbaglio?
L’altro giorno, ad esempio, è successo che il nonno di uno degli studenti di Sunshine è passato a miglior vita. Allora invece di confortare il povero bambino, l’ordine dalla direzione per tutti gli insegnati (e per i compagnetti di classe di questo bambino) era di evitare qualsiasi riferimento a nonni, malattie e morte. Sunshine c’è rimasta di stucco. Stiamo dicendo sul serio? Invece che incoraggiare quei bimbi a dire una parola di conforto al loro compagno in difficoltà, e magari condividere bei ricordi del nonno, si è preferito evitare completamente di parlarne? Forse è un aspetto tipico della cultura anglosassone e nordeuropea, più fredda e distaccata di quella mediterranea, come tutti gli stereotipi in merito ci ricordano sempre. Non so, ma a noi è sembrato così strano.
Finché ho potuto, con le nostre figlie ho provato ogni giorno ad alimentare la loro gioia, coltivare i loro entusiasmi, non anestetizzarle o assopirle mettendo loro in mano un cellulare intelligente per farle stare zitte. Ora sono adolescenti, ed ovviamente ci considerano dei vecchi bacucchi in carriola. Sono in quella fase ribelle in cui devono imparare a scoprire la loro vera identità. Speriamo solo di aver gettato una base solida su cui possano costruirla. Speriamo che quel fuocherello di passione che abbiamo acceso in loro non venga spento dal vento dei social e della peer pressure.
Commenti
E l’altra figlia cosa vorrebbe fare?
Comunque è proprio vero, sembra quasi vogliano fare una generazione di giovani con sentimenti finti, devono conoscere solo la felicità e la vittoria, il dolore e la morte vanno aboliti, è una cosa che sto notando da un po’ di anni (ad esempio, ricordate il famoso “Andrà tutto bene” di epoca recente…? )
Risposte al commento di Trap
Tutto vero, e posso capire il cercare di essere positivi, ma questo non dovrebbe voler dire nascondere sotto il tappeto la negatività che fa parte della vita, e che ci aiuta ad accettarla come tale. Altrimenti si finisce per avere ragazzi che cascano in depressione, e troppo sensibili. Specialmente a scuola, dove oramai non si può dare un voto negativo ed i ragazzi si sentono sempre sotto pressione. Beh, chiaro, fino all’adolescenza gli abbiamo detto che sarebbe “andato tutto bene”, e poi si scontrano violentemente con la realtà amara dei fatti.
Risposte al commento di camu
La tua conclusione è perfetta, purtroppo.