due chiacchiere

Broken link checker, novità non gradita

Mi verrebbe da cantare la famosa canzone dei Queen, Another one bites the dust, mentre scrivo queste parole in merito ai recenti cambiamenti in casa di uno dei plugin più amati dalla comunità di WordPress, Broken Link Checker. E non sono l’unico ad aver storto il naso, quando ho visto le novità introdotte dalla versione due punto zero, stando all’ondata di recensioni negative ricevute sul forum ufficiale. In breve, i nuovi proprietari hanno deciso di spostare il cuore del plugin sui propri server, che d’ora in avanti si occuperanno di spulciare tra le pagine degli utenti a caccia di collegamenti rotti ed altri problemi che potrebbero avere un impatto negativo sul posizionamento del loro sito sui motori di ricerca. Il plugin è sempre gratuito (al momento), ma in tanti, incluso il sottoscritto, stiamo lamentando problemi nel creare un account per attivare la nuova versione. In inglese si direbbe if ain’t broken, don’t fix it. Ma a quanto pare gli sviluppatori avevano altri piani in mente.

Io avevo iniziato ad usare questo programma circa otto anni fa, dopo che il buon Lorenzo me l’aveva consigliato per arginare la marea di collegamenti spezzati che inondò queste pagine quando la blogosfera italiana iniziò a morire lentamente. Da allora era stato sempre un fedele aiutante, e di recente è stato davvero provvidenziale durante i primi mesi dopo la ripresa delle trasmissioni, consentendomi di scrostare tutta la robaccia che s’era accumulata dopo sette anni di silenzio radio. Un piccolo plugin che ha sempre fatto il suo sporco lavoro senza infamia e senza gloria, con un’interfaccia spartana ma funzionale, come le auto degli anni Ottanta. Al momento, chi vuole può continuare ad usare la “vecchia” interfaccia, e gli sviluppatori non stanno costringendo nessuno a passare al nuovo sistema, ma non è chiaro per quanto ancora consentiranno di farlo. Certo, nessuno mi costringe ad aggiornare alle future versioni, se qualcosa dovesse cambiare in maniera drastica, ma questo vuol dire esporsi a possibili vulnerabilità che venissero scoperte nelle vecchie versioni.

Questa novità è l’ennesima pietra che casca dal castello in rovina che è l’open source in questi anni. L’entusiasmo di Linus Torvalds e di tutti quelli che promuovevano il nuovo approccio del bazaar contro la cattedrale rappresentata fino ad allora dalle mega aziende di software che controllavano tutto, quell’entusiasmo si è progressivamente affievolito negli anni, e la nuova generazione sembra non aver voluto cogliere la staffetta dei tanti appassionati come me, che dedicavano tempo e risorse a contribuire ad un mondo più aperto e libero. Basta vedere ad esempio come Firefox stesso sia finito nella polvere, schiacciato dalla popolarità del motore che fa funzionare Chrome, Edge ed altri browser moderni. Lo stesso si può dire per programmi come OpenOffice, che stentano ad acquisire una rilevanza sufficiente a farli uscire dall’ombra. Eppure ricordo quando lavoravo in Italia, avevamo avviato un’iniziativa per installare OpenOffice su tutti i computer della Provincia. Per non parlare di Linux stesso, oramai quasi esclusivamente monopolio di RedHat per le applicazioni aziendali.

Bei tempi, peccato che le cose siano andate diversamente.

 

Lascia un commento

Torna in cima alla pagina