Per l’appuntamento culinario di oggi vesto i panni di un piccolo aiutante di Piero Angela, per condividere alcune curiosità di cui leggevo qualche settimana fa sull’alimentazione dei nostri antenati. Grazie alle abbondanti testimonianze preservate in vari manoscritti e scoperte fatte dagli archeologi, oggi è abbastanza facile decifrare quale fosse la tipica dieta degli antichi romani. Nell’immaginario collettivo pensiamo sempre all’imperatore sdraiato sul suo lettino a fagocitare chicchi d’uva mentre davanti a lui giullari di ogni specie si cimentano in acrobazie varie, o regnanti provenienti da terre lontane portano doni suntuosi accerchiati da folti gruppi di seguaci e spettatori. Ma non bisogna dimenticare che l’impero durò per circa mille anni e che l’arco della storia romana abbracciò un’enorme gamma culinaria. Le descrizioni culinarie che leggiamo in opere come il Satiricon di Petronio ed i libri di Plinio il Vecchio sono supportate da prove tangibili associate ai resti di cibo rinvenuti e alle latrine scavate dagli archeologi. Ad Ercolano e Pompei, ad esempio, sono stati rinvenuti i reperti più attendibili, preservati quasi intatti dopo l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, che ci aiutano anche a capire come riuscissero a conservare i loro alimenti quando ancora i frigoriferi non erano stati inventati.
La dieta mediterranea, lo sanno persino in America, è riconosciuta come una delle più sane al mondo. Ed è sorprendente scoprire che gran parte della dieta romana, almeno quella della classe privilegiata, sarebbe familiare a un italiano moderno. Tra i cibi tipicamente consumati durante un loro pasto troviamo carne, pesce, verdure, uova, formaggio, cereali, pane e legumi. La carne includeva animali come la lepre, le lumache e il cinghiale, ed uccelli come i tordi, polli e fagiani. La carne di manzo non era popolare, essendo considerata un bene di lusso (proprio come oggi, con l’inflazione!), e la selvaggina era molto più comune. In genere la cottura consisteva nel bollire la carne insieme a varie spezie, o fritta in grassi animali.
Per quanto riguarda il pesce, cozze, ostriche e telline erano spesso presenti nella dieta dei ceti medi, insieme ad altri frutti di mare. A questi si accompagnavano vari tipi di legumi e verdure, come fagioli, olive, piselli, insalate, aglio, cipolle e cavolo, quest’ultimo considerato particolarmente salutare, buono per la digestione e per curare i postumi di una sbornia. I piselli secchi erano un pilastro delle diete povere, spesso ridotti in farina usata al posto di quella di grano. Tra le cose che mancavano, che noi oggi conosciamo solo grazie alla scoperta dell’America, c’erano ortaggi come le melanzane, i peperoni, le zucchine, ed ovviamente i pomodori. Insomma, niente bucatini all’amatriciana per Cesare.
La frutta veniva coltivata o raccolta da alberi selvatici e spesso conservata per mangiare fuori stagione. Erano comuni mele, pere, uva, mele cotogne e melograno. Ciliegie, datteri, limoni e arance erano importazioni esotiche, che solo i viaggi di Marco Polo alcuni secoli più tardi renderanno più a portata di tutti. Il pane era fatto con farro e mais (in genere usati come “salario” per i dipendenti statali, insieme al sale), e cotto su grandi piastre di terracotta, dato che i forni erano alquanto rari all’epoca. Al contrario, i romani furono pionieri della produzione di formaggio, producendo sia formaggi a pasta molle che a pasta dura, questi ultimi dati ai soldati duranti le lunghe spedizioni di conquista in giro per il mondo.
Per la conservazione del cibo venivano usati miele e sale, una tecnica che ancora oggi incontriamo ad esempio quando andiamo a comprare lo stoccafisso. L’affumicazione era invece applicata a prodotti a base di carne, come salsiccia, prosciutti e pancetta. Mentre le verdure si conservavano sott’aceto, bollite in una salamoia condita con spezie di vario tipo. Anfore, barili e giare di argilla e terracotta rappresentavano i contenitori in cui conservare questi alimenti, nonché silos fuori città come magazzini per grano ed altre provvigioni. Infine, le ville dei benestanti usavano cantine dove grandi cisterne erano sepolte nella sabbia per far durare più a lungo il loro contenuto.