E bravo Spotify che, analizzando la mia attuale selezione di podcast che ascolto quotidianamente, me ne propone di nuovi ed interessanti che riescono a stuzzicare la mia curiosità per il mondo che mi circonda. In questi fine settimana ho lavorato a rinfrescare la stanza della figlia grande: non solo tinteggiando le pareti, ma sostituendo le porte tutte graffiate vecchie di 40 anni, le mensole di truciolato all’interno della cabina armadio con più moderni scaffali a griglia metallica e via dicendo. I podcast mi tengono compagnia mentre eseguo con meticolosità maniacale (forse troppa) tutti questi lavori. Una delle funzioni che ho davvero imparato ad apprezzare in Spotify è che fa partire in automatico il podcast successivo, ordinandoli in base a quelli che ascolto più frequentemente (Uno, nessuno, 100Milan, Focus Economia, 2024), ed inserendo di tanto in tanto un podcast nuovo. Ed è così che ho scoperto quello di Luca Bizzarri: Non hanno un amico. Vorrei condividere un episodio in particolare, che mi trova pienamente d’accordo su vari punti.
I nostri anni non sono altro che ripetizioni all’infinito dello stesso giorno. Arriva il 25 aprile: tutti antifascisti. Arriva l’8 marzo, e l’8 marzo è tutti i giorni. Arriva Halloween, e sarà mica il caso di festeggiare una roba americana (che poi manco è americana). Ripetiamo costantemente giudizi, indignazioni, contrasti, in questo perenne giorno della marmotta in cui tutto poi passa dai social, dalle immagini, e i pensierini che scandiscono la nostra vita, sempre uguali. Uno dei momenti peggiori è adesso. Agli inizi di giugno, quando come l’influenza, tutti gli anni arriva la notte prima degli esami, degli esami di maturità.
[Notte prima degli esami di Venditti suona in sottofondo]. Con il suo carico di retoriche e di come eravamo, in un flusso di articoli, frasette, programmi alla radio, dirette Instagram e raccontateci la vostra notte, e anzi no, vi raccontiamo noi la nostra, che è sicuramente interessantissima e vi appassionerete tanto a sentirla. [voce fuori campo] “Com’era il Ministro Valditara studente? Ha qualche aneddoto divertente sulla sua maturità?” [risponde il ministro] “Quando io ero al liceo, confesso che studiavo tantissimo ciò che mi piaceva.”
E intanto sti poveri studenti, credo, ci caghino meno di niente, non leggano, non ascoltino i nostri pensieri autoreferenziali da vecchi nostalgici, mentre loro, gli studenti, esattamente come capitò a noi, aspettano soltanto che tutto finisca più rapidamente possibile, senza danni e via in Grecia a drogarsi. E visto che abbiamo perso totalmente il senso del ridicolo, capita di assistere a dei meravigliosi messaggi motivazionali fatti da adulti che hanno pochissima autorità in merito. Essendo loro, gli adulti, la prova provata del fatto che quella maturità conseguita a scuola, non ha mai combaciato con una maturità reale. Noi adulti siamo lo spot dell’immaturità cronica, di una generazione che infatti parla ancora ogni anno di quel giorno. E non lo fa mica per i ragazzi, che manco li stanno a sentire. Lo fa perché non riesce a staccarsi da quel che era e che vorrebbe rimanere in eterno: una generazione di immaturi, possibilmente irresponsabili.
Poi le frasi di circostanza, Meloni che dice un originalissimo “Voi siete il futuro, siete il futuro della nostra nazione. Sono certa che dimostrerete il vostro valore”. Per cui mi chiedo se ci sia qualcuno pagato per scriverle un discorso così. Ma davvero? I giovani sono il futuro. Ma pensa! In cui la chicca finale è “l’Italia crede in voi e in bocca al lupo”, quando il problema dovrebbe essere l’opposto. I maturandi di oggi credono nell’Italia che gli stiamo apparecchiando? Non so quanti diciottenni abbiano il sogno di rimanere in un paese di vecchi rancorosi che non mollano il posto manco sotto tortura, e per i quali i giovani sono i meloni, cioè i quarantasettenni.
Ma la notte prima degli esami è passata, e basterebbe ascoltare il testo della canzone di Venditti per capire che poi, alla fine, solo una cosa hanno in testa i ragazzi in quel momento così decisivo della loro esistenza. [la canzone di Venditti riparte in sottofondo] non fermare, ti prego, le mie maniiiii sulle tue cosce teseeee. Trombare la fidanzata, aprire un varco tra le gambe chiuse come chiese, la nazione confida in noi che siamo schiavi degli ormoni, ergo totalmente inaffidabili. Ma la notte, dicevo, è passata e sono usciti i temi della maturità: componimenti che i tre quarti degli utenti social non sarebbero in grado nemmeno di affrontare da lontano, ma forse nemmeno di leggere senza il dito sotto.
E tra i temi spunta il mio preferito, che forse non sarà il più gettonato. È tratto da un libro di Nicoletta Pollamattiott e la traccia inizia così “concentrarsi sul silenzio significa in primo luogo mettere l’attenzione sulla discrezionalità del parlare. Chi sceglie di usare delle parole fa un atto volontario e si assume dunque tutta la responsabilità del rompere il silenzio”. Ecco, questo è il tema che avrei fatto io e lo svolgimento sarebbe stato un’ode al silenzio, al suo fascino perduto, ma alla sua forza ancora concreta. La responsabilità di rompere il silenzio viene troppo spesso sottovalutata. E io aggiungerei anche un’altra responsabilità, un’altra forma di maturità, un altro augurio: che la maturità insegni ai ragazzi la forza del silenzio, l’attenzione a non romperlo e la saggezza per distinguere tra la libertà di opinione e il rompere non solo il silenzio ma, più prosaicamente, i coglioni al prossimo.