due chiacchiere

Il duopolio che sta rovinando l’America

Prima che la pandemia mi regalasse l’opportunità di lavorare da casa, di tanto in tanto ascoltavo sul treno per New York un podcast chiamato Freakonomics Radio (La radio della stravaganteconomia, si potrebbe tradurre in Italiano), nel quale un economista ed un giornalista analizzano ogni settimana un aspetto della nostra società in chiave economica, in maniera intelligente e stimolante. Qualche anno fa, uno degli episodi mise sotto la lente d’ingrandimento il famoso bipolarismo americano. Come forse saprai, qui esistono principalmente due partiti, democratici e repubblicani, che si alternano al potere in un sistema presidenziale a mio parere troppo rigido, che non lascia spazio al pluralismo d’idee amplificato negli ultimi anni dai social e dalla disillusione generale verso la politica. Tutti se ne lamentano, ma nessuno fa nulla per cambiare davvero le cose. Forse perché fa comodo mantenere lo stato attuale, ipotizza la puntata in questione. Riporto qui di seguito la prima parte di un estratto di quell’episodio, tradotto in italiano.

Qualche settimana fa, l’ennesimo membro del Congresso ha annunciato che avrebbe lasciato il Partito Repubblicano per diventare un indipendente, citando che il rancore all’interno del partito era diventato per lui troppo controproducente. Come tanti, ha affermato di nutrire da tempo preoccupazioni per il sistema bipartitico del paese. Per decenni, abbiamo sentito da entrambi gli schieramenti che Washington è “allo sbando”. Ma siamo sicuri che quest’idea secondo cui Washington sia allo sbando non sia solo una messinscena? Forse è semplicemente uno slogan approvato dai due partiti politici dominanti del Paese? Un disco rotto che continuano a venderci e noi a comprare, per tenersi attaccati alle poltrone mentre dividono l’America?

Se pensiamo al settore privato, ci sono molte ragioni per cui esistono i duopoli e non sono necessariamente tutti sinistri. Nel capitalismo specialmente, le dimensioni di un’azienda pesano molto: superata una certa soglia critica, le grandi aziende continuano a crescere, inghiottendo le aziende più piccole e sostanzialmente dettando le regole all’interno del loro mercato. Finché non si crea un monopolio, come nel caso di Google, oppure più comunemente un duopolio: Intel e AMD, Visa e Mastercard, Pepsi Cola e Coca Cola sono solo alcuni esempi di questa dinamica.

Michael Porter è un professore alla Harvard Business School e uno studioso molto apprezzato di strategia e competitività. Dice che sebbene il confronto tra partiti ed aziende possa sembrare ingiusto, il sistema politico è in realtà peggiore. Coca-Cola e Pepsi, ad esmpio, controllano solo il 70% del mercato delle bibite. Hanno ancora l’alleanza Dr. Pepper-Snapple di cui preoccuparsi. Ma se consideri i liberali, gli indipendenti, il partito dei verdi, e persino il partito “dei pirati” degli Stati Uniti (eh si, non ci facciamo mancare manco quello) e li sommi tutti insieme, manco arrivano a a Dr. Pepper.

Porter non è certo il primo arrivato: i suoi studi sulle cinque forze che determinano la competitività di diversi settori sono abbastanza famosi nell’ambito economico. Le cinque forze sono la minaccia dei nuovi arrivati, la minaccia di prodotti o servizi sostitutivi, il potere contrattuale dei fornitori, il potere contrattuale degli acquirenti e la rivalità tra i concorrenti esistenti. Porter, tuttavia, non aveva mai pensato di applicare le sue teorie al sistema politico americano. Poi ha incontrato Katherine Gehl, amministratore delegato di Gehl Foods, un’azienda di prodotti lattiero-caseari nel Wisconsin. L’industria alimentare, è un dato assodato, è incredibilmente competitiva ai giorni d’oggi: ci sono sempre nuovi concorrenti, nuove tecnologie e nuove preferenze dei consumatori. Quindi, per tracciare un percorso da seguire, Gehl si è rivolta a Michael Porter.

Oltre all’attività di famiglia, Gehl ha sempre avuto un altro interesse costante: la politica. Repubblicana durante il liceo, nel corso del tempo si è spostata a sinistra. Il salto di qualità avviene nel 2007, quando entra a far parte del comitato finanziario della campagna presidenziale di Barack Obama. Un paio d’anni dopo l’elezione di Obama, Gehl entra a far parte del consiglio di un’organizzazione governativa chiamata Overseas Private Investment Corporation, che aiuta le aziende statunitensi ad espandersi nei mercati emergenti. In quel ruolo, ha cominciato a prestare attenzione a quello che succedeva in Parlamento, e la situazione non l’è piacuta per nulla “Mi sono resa conto che questa lotta tra repubblicani e democratici non mirava alla risoluzione dei problemi del popolo americano, ma piuttosto una gara a contraddirsi a vicenda.” (continua…)

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