Ed eccoci qui per la seconda puntata di questa mini-serie sul duopolio politico americano. Come dicevo la scorsa settimana, sono convinto che il sistema bipolare attuale abbia spinto il Paese a stelle e strisce troppo vicino al baratro da cui non si può più risalire. E sempre più persone avvertono questo senso di irrequietezza ed esprimono la loro voglia di cambiamento. Come in Italia si è assistito alla nascita del Movimento Cinque Stelle in risposta all’insofferenza verso la “vecchia” politica (io ancora mi ricordo i Vaffanculo Day organizzati da Beppe Grillo nel lontano 2007), anche qui stanno nascendo alternative politiche come il Movimento per il Partito del Popolo, che sembrano avere molto in comune con l’omologo italiano. Spero solo che l’epilogo dei cugini americani non sia lo stesso di quello dei grillini, che dopo aver raccolto uno schiacciante consenso popolare alle elezioni di qualche anno fa, si sono sgonfiati come un sufflè cotto male. Continuiamo dunque la traduzione dell’analisi di Freakonomics Radio sulla situazione statunitense.
Fu in quel periodo che Gehl incontrò Porter, con lo scopo di mettere insieme una strategia aziendale basata sulla teoria delle cinque forze: nuovi rivali, rivalità esistenti, prodotti sostitutivi, potere dei fornitori e potere dei clienti. Nelle loro discussioni sul futuro di Gehl Foods, i due iniziarono a parlare di politica, e Gehl iniziò a convincere Porter che il suo teorema poteva essere applicato alla politica. Essendo giunti alla conclusione che il sistema politico operava più come un’industria tradizionale che come un’istituzione pubblica, Gehl e Porter scrissero una rapporto per conto della Harvard Business School intitolato “Perché la concorrenza nel sistema politico sta deludendo l’America”. Leggendo l’articolo, e più precisamente il capitolo che elenca i risultati chiave della loro ricerca, si trova questo passaggio: “Il sistema politico non è incrinato. Al contrario, sta funzionando esattamente nel modo in cui è stato progettato”. In altre parole, i due stavano sostenendo che non era un caso se la politica era diventata autosufficiente ed egocentrica. Erano semplicemente la squadra blu e la squadra rossa in una partita senza vinti né vincitori, un po’ come Pepsi e Coca-Cola.
I due partiti politici non solo avevano diviso il campo da gioco in due parti, ma avevano inglobato altre componenti del settore: consulenti, lobbisti, politici e candidati. Nel corso del tempo, i due partiti avevano ottimizzato il sistema per, nelle parole di Gehl, “il beneficio delle organizzazioni private a scopo di lucro, dei nostri due partiti politici e dei loro alleati del settore: ciò che insieme chiamiamo il complesso politico-industriale”. Da una stima di Porter si evince che durante l’ultimo ciclo elettorale, il prodotto interno lordo del “settore” sia stato di circa 16 miliardi. Certo, sarebbe un gran bel risultato se quei soldi fossero finiti nelle tasche della gente. Ma Gehl e Porter sostengono che l’industria politica è molto più brava a generare entrate per se stessa e creare posti di lavoro per se stessa mentre tratta i suoi clienti (il popolo) con qualcosa di assimilabile al disprezzo.
I numeri sembrano dar loro ragione: l’indice di confidenza dei “consumatori” per il settore politico è ai minimi storici. Meno di un quarto degli americani si fida del governo. In termini di popolarità, la politica si colloca al di sotto di ogni settore privato. Inclusi il settore sanitario e farmaceutico, il settore delle compagnie aeree e la TV via cavo, che già non godono di ottima fama. Se guardiamo ai vari settori commerciali, quando c’è così tanta insoddisfazione, arriva in genere una nuova società, come Netflix o Amazon Prime, e prende di mira questi clienti scontenti. Eppure in politica questo fenomeno finora non si è verificato, almeno non al punto da generare una massa critica da far paura ai due giganti. Perché? “Cominciando ad approfondire quello che succede dietro le quinte, si scopre che i nostri partiti, che in apparenza non vanno d’accordo su nulla, in realtà lavorano molto bene insieme, quando si tratta di creare regole che essenzialmente erigono barriere all’ingresso, e stratagemmi per tenere fuori la nuova concorrenza”, spiega Gehl.
Nel loro rapporto, Gehl e Porter traducono la teoria economica nel corrispettivo politico, identificando i cinque punti chiave per la moderna competizione politica: candidati, talenti elettorali, dati sugli elettori, fornitori di idee e lobbisti. Ecco cosa scrivono: “Sempre più spesso, quasi tutto ciò che è necessario per condurre una moderna campagna elettorale e governare è fortemente influenzato dai piani alti di uno dei due partiti”. Con la conseguenza che i candidati al di fuori del sistema bipartitico faticano a trovare un appoggio solido per lanciare le proprie campagne elettorali.
Questa collusione ha anche portato a una delle tendenze più preoccupanti degli ultimi anni: i due partiti hanno smesso di competere per gli elettori nel mezzo e si sono concentrati invece su un ristretto gruppo di “utenti” con interessi speciali e più marcatamente di parte. La mancanza di una forte concorrenza, sostengono Gehl e Porter, ha consentito a Democratici e Repubblicani di ritagliarsi basi politiche diametralmente opposte ed estremamente partigiane, che diventano il grimaldello per sostenere i desideri dei veri clienti dell’industria politica, specialmente dei suoi più ricchi benefattori. Si pensi ad esempio a settori come l’assistenza sanitaria, immobiliare e servizi finanziari, anche sindacati e lobbisti. In questo modello di business duopolistico, la polarizzazione è una caratteristica, non un bug. (continua…)
Commenti
Fare un partito nuovo oggi non è facile, non rappresenta solo un’idea di uno o più persone, ma è una vera organizzazione stile aziendale.
I partiti italiani della Prima Repubblica italiana, ad esempio, avevano tutti una scuola di partito, e ti facevano fare tutta la trafila dal basso, in modo da fare esperienza per la politica del futuro.
La degenerazione è iniziata con la seconda repubblica quando è iniziata la corsa all’arrivismo e sono nati diversi partiti ad-personam, tutti destinati al fallimento, in quanto appunto come “un albero senza radici, è solo un pezzo di legno”.
Per quanto riguarda i 5 stelle, permettetemi di modificare una citazione di Silone, “la lotta finale sarà tra i 5 stelle e gli ex 5 stelle”. Come effettivamente sta capitando.
Risposte al commento di Trapanator
Ritengo fondamentale approfondire la sorgente della citazione siloniana:
Silone, un socalista che era tra i fondatori del PCI, fu “epurato” dal partito da Togliatti in quanto si opponeva alla deriva stanliniana e di consguenza alla degenerazione del comunismo (citazione “Non posso mettere la Chiesa avanti a Cristo”) si definiva come un cristiano senza Chiesa e come un comunista senza Partito. Fu quindi boicottato ed ebbe critiche alle sue opere, soprattutto dai giornali di sinistra come L’Unità.
Nel 1951, dopo un congresso del PCI, profetizzò a Togliatti: “la lotta finale sarà tra comunisti ed ex-comunisti”.
Mi è sempre piaciuta la tua ammirazione per Silone, che all’epoca ho scoperto grazie alle tue citazioni. Sono d’accordo sulla questione dei partiti ad-personam come l’inizio della fine della politica vera. Giusta l’osservazione che sarebbe bene rispolverare le scuole di partito e di far fare a tutti la trafila dal basso, per guadagnare vera esperienza e fare in modo che solo quelli che la politica ce l’hanno nel sangue come passione, arrivino in alto. Oggi, sia in Italia che in America, è solo una questione economica, e non più di ideologie. Anche qui, con Trump, la percezione del partito come specchio della persona, è diventata una cosa accettata dall’opinione pubblica. Il guaio è che questo approccio, come dici giustamente tu, slega il partito dalle ideologie che intende promuovere, e segue semplicemente i futili desideri effimeri della persona. Forse per questo mi piace sempre di più la Cina, pur con tutti i suoi difetti?