due chiacchiere

L’America che esporta ma non usa la tecnologia

Un commento di Emanuele di qualche settimana fa mi ha fatto venire in mente un argomento di cui volevo scrivere: lo stato della tecnologia “quotidiana” qui in America. Ad esempio, lo sapevi che in escluse le grandi metropoli, in molti paesini dell’interland le macchinette per il parcheggio si pagano ancora con le monetine da 25 centesimi? Altro che NFC ed app, qui siamo ancora ai tempi di Mosè. Vogliamo parlare della metropolitana? A New York tutt’oggi in molte stazioni non c’è neppure l’indicatore di quando arriverà il prossimo treno, robetta basilare, e ti puoi scordare di pagare la corsa con il cellulare, troppo futuristico, troppo Hollywood. Certo, non dico che dovremmo avere i sistemi avanzati del Giappone, ma per essere una nazione che esporta tecnologia in tutto il mondo, bisogna ammettere che siamo indietro su parecchi fronti.

Ora un barlume di speranza è arrivato con il Covid. Com’è che fa quel detto italiano? Ah, già: non tutti i mali vengono per nuocere. In pochi mesi, la pandemia pare aver accelerato di parecchi anni il cambiamento digitale della società americana. Un esempio banale: il mio datore di lavoro ha da sempre usato cedolini cartacei per le buste paga, e soltanto l’anno scorso, visto che tutti lavoravamo da casa, ha finalmente introdotto un portale per darci la possibilità di scaricare il documento in formato elettronico. Oppure penso alla metropolitana di New York, che ha accelerato un progetto per consentire il pagamento del biglietto tramite app, sostituendo i tornelli vecchi di trent’anni con nuovi dispositivi digitali.

Certo, bisogna ammettere che a volte la lentezza nell’adottare nuove tecnologie è legata a dubbi di carattere etico: nel caso della sanità, le “televisite” non sono mai state viste di buon occhio da queste parti per paura di ripercussioni sulla privacy dei pazienti. Eppure il Covid è riuscito a forzare la mano di politici e paladini della riservatezza, ed ha aperto le porte alla tecnologia che ora consente ai pazienti di parlare con il proprio medico (quando possibile) dal divano del salotto. Pensa a come sarebbe bello se a questo s’associassero dispositivi in grado di rilevare i nostri parametri vitali a distanza, dando al medico un quadro ancora più completo della situazione. Vorrebbe dire che la distanza fisica non rappresenterebbe più un impedimento, ed un paziente con una rara malattia potrebbe consultare il grande luminare a migliaia di chilometri da casa sua ed avere una diagnosi esatta del problema. E non parliamo di cosa potrebbe fare per gli altri malanni l’intelligenza artificiale e l’uso massiccio di dati sulla popolazione, come sta facendo per il Covid, di cui sono meticolosamente tracciati un sacco di parametri. Ma sto divagando…

La mia speranza è che l’esperienza del consumatore in questa nuova era digitale diventi più personale, con un maggiore coinvolgimento emotivo rispetto al passato. Perché se Facebook riesce a farci pensare quello che vuole grazie all’analisi della sterminata quantità di dati a loro disposizione, forse la stessa tecnologia potrà essere adottata per migliorare la nostra vita di tutti i giorni. Se vogliamo far sì che la trasformazione digitale diventi permanente e porti benefici concreti in America, dobbiamo tornare ad essere creativi. Magari prendendo esempio dai Giapponesi.

Commenti

  1. ha scritto:

    Certe volte hai posizioni un po’ distanti dalle mie, nonostante diversi punti di contatto.

    E non parliamo di cosa potrebbe fare per gli altri malanni l’intelligenza artificiale e l’uso massiccio di dati sulla popolazione, come sta facendo per il Covid, di cui sono meticolosamente tracciati un sacco di parametri.

    In questa frase ci sono tante belle idee, ma – mi pare – poca concretezza nel conoscere come vanno realmente le cose.
    Per esempio un vero tracciamento genetico dei positivi non viene fatto, in maniera che sia scientificamente valido E rapido.

    E le stesse tecnologie di ML in questi campi sono così piene di problemi (sopratutto bias del tipo del problema pedone/guidatore in campo automobilistico) che è illusorio credere che a breve (leggi dieci anni) sia una strada percorribile con una certa sanità.

    Di certo è auspicabile uno svecchiamento di vari sistemi, mettendo l’utente al centro del servizio fornito piuttosto che l’erogante del servizio, e su questo siam daccordo 😉

    Risposte al commento di kOoLiNuS

    1. camu
      ha scritto:

      Io sono sempre stato un po’ idealista, sebbene mi ostini a guardare serie tv distopiche ed alquanto “dark”. Mi piace sognare quanto sarebbe bello il mondo se tutti avessimo a mente soltanto il bene della comunità in cui viviamo. Che però si scontra con l’amara e deprimente verità che i soldi muovono il mondo, e che tutto assomiglia in realtà ai paesaggi inquietanti di Samuele Silva 🙂 Il mio collega al lavoro mi “prende in giro” proprio per il mio approccio utopico, e continua a ricordarmi che devo svegliarmi da questo torpore, ed accettare la triste realtà dei fatti, dalla gestione del Covid ai microchip. Quindi, in breve, siamo d’accordo e sono consapevole di come stanno davvero le cose, ma a volte preferisco rifugiarmi nei sogni, nel “come sarebbe la vita se…”

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