Visto il risultato delle elezioni americane che ha lasciato tutti a bocca aperta, me compreso, non potevo non scrivere due righe a caldo sull’evento oserei dire dell’anno. Ricordo ancora quando otto anni fa eravamo chiamati a scegliere tra Trump e la signora Clinton: mi svegliai verso le 3 del mattino per andare in bagno, e diedi un’occhiata al cellulare per vedere come procedeva lo spoglio, certo di leggere quello che molti exit poll oramai davano per scontato. Non puoi immaginare lo stupore che ho provato nello scoprire che invece le cose avevano preso una piega completamente diversa. Lo stesso mi è capitato ieri qui in Italia, anche se stavolta in un certo senso me lo aspettavo: mi sono svegliato verso le 10 del mattino (dato che vado a letto alle 2 di notte per lavoro) ed ho acceso il cellulare sicuro di leggere elogi a profusione per la Harris. Invece, ancora una volta, mi si è presentato sullo schermo un risultato del tutto diverso. Risultato che conferma quello che, in fondo, dicevo da tempo: il partito democratico americano ha fatto delle scelte autolesioniste che a confronto Tafazzi sembra una simpatica principessa della Disney.
La mia impressione è che gli americani, almeno gli indecisi, non volevano votare per Trump, quando si sono trovati di fronte alla scheda elettorale nel segreto dell’urna. Ma hanno votato contro la Harris, una candidata particolarmente debole, scelta a tavolino da un’oligarchia che ha insistito fino a Giugno (quindi nel bel pieno di una campagna elettorale infuocata) nel volerci rifilare un povero anziano con problemi fisici e mentali. Un anziano forzato ad esporsi a pubblico ludibrio in un dibattito con Donald Trump, che invece è uscito da quell’esercizio mediatico vittorioso e rinforzato. Poi ci sono stati i tentativi di assassinio ed i verdetti dei giudici che non l’hanno ritenuto colpevole di alcuni dei reati a lui contestati, per cementare la sua leadership in questa corsa. Eppure io, in fondo in fondo, speravo ancora che gli americani si ricordassero di cos’era successo il 6 gennaio del 2021, e delle varie situazioni in cui l’impalcatura democratica di questa nazione è stata messa a dura prova dal Tycoon, come lo chiamano i bene informati.
Ma a quanto pare, la memoria sociale è sempre più corta, ed a pochi interessa quello che è successo quattro anni fa. La gente pensa piuttosto al fatto che l’inflazione ha rosicchiato notevolmente il potere d’acquisto della classe media, ha eroso il tanto osannato sogno americano di potersi comprare una casa ed avere un lavoro come il padre di Kevin McCallister in Mamma ho perso l’aereo (a proposito, ma poi s’è mai capito che lavoro faceva, per potersi permettere una casa così grande e viaggi per tutta la famiglia allargata?). Harris, essendo la vice di Biden, ha pagato il prezzo dei fallimenti di quest’amministrazione: dalla mancata promessa di rimborsare il costo della retta universitaria a milioni di aventi diritto (in un’epoca dove andare all’università in America è diventato un lusso per pochi), ai tiepidi risultati ottenuti dall’equivalente americano del PNRR.
Biden, tra l’altro, era azzoppato (in senso metaforico, oltre che letterale) dal fatto di non avere una maggioranza alla camera, una cosa che non ho mai capito dell’assetto istituzionale di questa nazione. Adesso invece il partito di Trump controlla entrambi i rami del Congresso, ed avrà vita facile nel mettere in pratica, tra le altre cose, il Progetto 2025, che alla fine dei conti non è altro se non uno spoils system più aggressivo, quindi nulla di nuovo sotto il sole dell’amministrazione della cosa pubblica. Certo, per l’Europa, questa presidenza potrebbe tradursi in pianti e stridore di denti, ed in un contrasto più accentuato nelle politiche commerciali tra i due continenti. Ma alla fine dei conti, è normale che ogni nazione tenda a fare politiche che proteggano i propri interessi economici. Temo solo che con Trump non si riesca a trovare il giusto equilibrio, e che esagerando nel protezionismo contro Cina ed Europa, finiremo per darci la zappa sui piedi.
Il problema è che, guardando alla storia recente, sono convinto che il partito democratico non imparerà un bel nulla da questa lezione, e continuerà a rifilarci candidati improponibili scelti accuratamente da un’oligarchia buona solo a lamentarsi. Un po’ come in Italia, in fondo, no?
Commenti
Un po’ come in Italia, si.
Sono d’accordo con la tua chiusa.
E che dire, mi sembra un brutto film. Mi chiedo come si possa votare in questo modo, come ci si possa affidare ad una figura di questo calibro.
Risposte al commento di Katrina Uragano
Allora siamo in due a farci le stesse domande.
Già, qualcuno ha fatto una simulazione di questo brutto film.
Risposte al commento di Trap
Forse la possibilità di sdrammatizzare è l’unica cosa che ci rimane…
Un’altra cosa che non ho mai capito, come te, è perché l’insediamento del nuovo presidente avviene dopo molto tempo dalle elezioni. Basta leggere le notizie di questi giorni, tutti ormai parlano solo con il nuovo presidente e quelli vecchio sembra diventato, da un giorno all’altro, una ruota di scorta…
Risposte al commento di Trap
Già durante la campagna elettorale si sentiva parlare di Biden poco o nulla, ora praticamente zero. Poveretto, che fine brutta nell’ombra che ha fatto. I due mesi e mezzo sono necessari ad organizzare la transizione tra amministrazione entrante e quella uscente. E’ un processo lungo che richiede un sacco di coordinamento. Forse potrebbero fare prima, ma le date sono scritte nella Costituzione, quindi mi sa che non è facile cambiarle.