Nelle scorse settimane, stando a quello che leggevo su giornali e blog vari, in Italia si è consumata una lunga polemica sulla disponibilità da parte dei piccoli esercenti di offrire il pagamento dei propri prodotti e servizi tramite bancomat e carte di credito. Il titolo, devo confessare, l’ho preso in prestito dalla trasmissione Uno, nessuno, 100Milan: in un episodio recente, in cui si chiacchierava con il cofondatore del servizio Satispay, il conduttore ha coniato questo termine, quasi a prendere in giro la lunga lista di “no qualcosa” che abbiamo visto nascere nel Belpaese negli anni: dai No Tav ai No Vax, dai No Mask ai No 5G, c’è sempre qualcuno pronto ad esprimere la propria opinione contro il progresso che avanza. Però questa polemica, a dirla tutta, io ancora non l’ho mica capita. Per me il POS dovrebbe essere un servizio pubblico su cui non si discute, alla stregua dell’acqua potabile e della spazzatura, fine della storia.
Il tentativo, sparito magicamente all’ultimo minuto, di cancellare quell’obbligo da parte del governo Meloni, era evidentemente un modo per accontentare l’elettorato che l’ha portata a Palazzo Chigi, ma era anche una presa d’atto che tanto in Italia questi obblighi non funzionano, e finiscono solo per creare ancora più disparità (probabilmente tra nord e sud) sull’applicazione della norma. A mio parere il governo deve invece concentrarsi per far pressione sugli istituti di credito e sulla filiera in generale (da chi produce e gestisce le macchinette, a chi fornisce servizi accessori), per ridurre ulteriormente le commissioni ed i canoni mensili, e per incentivare sistemi di pagamento alternativi, come appunto Satispay e Apple Pay, giusto per citarne un paio. Si potrebbe poi far salire il credito d’imposta ad almeno il 50% sui pagamenti elettronici, così da incoraggiare i commercianti a rendere i propri libri contabili più trasparenti. E via dicendo.
Però sorrido quando leggo articoli che paragonano la situazione italiana a quella di altri Paesi europei. L’Italia, ancora adesso, è la nazione dove le imprese sono tra le più tartassate del Vecchio Continente. Quindi è chiaro che per il piccolo bar di paese, che già deve pagare tasse ed accise che riducono di quasi la metà il guadagno finale, quella del POS sembra un’ennesima gabella imposta da uno Stato miope e lontano, che non ha il polso della situazione. Poi, sempre sul confronto con le altre nazioni d’Europa, non bisogna dimenticare che l’Italia è principalmente fatta di micro e piccole imprese, da noi non ci sono (o almeno non sono così predominanti) le aziende di servizi come in Germania ed Inghilterra, e le nostre aziende pagano l’energia più che in Francia (viva il nucleare!), specialmente di questi tempi. Quindi, quelli che si mettono a confrontare le commissioni applicate ai negozianti in giro per l’eurozona, devono guardare al quadro completo della situazione, se vogliono essere obiettivi, e non solo fomentare un’indignazione di massa.
Per una volta sono io quello che non vuole etichettare tutti i piccoli negozianti italiani come una massa di loschi figuri pronti ad indossare la maschera nera alla Banda Bassotti, una manica di lestofanti che non fanno altro che evadere le tasse. Però mi sembra di capire che, anche in questo caso, sono la solita voce fuori dal coro di chi invece punta il dito contro di loro gridando spietatamente evasori! Se così è, allora è proprio vero che questa povera Italia non ha più speranza di rialzarsi.
Commenti
La questione non è essere contrari al POS, ma solo al suo utilizzo obbligatorio – e all’inevitabile conseguenza dell’abolizione dei contanti.
Risposte al commento di Davide
Sono d’accordo, la libertà di scelta deve essere tutelata, ma questo vale sia per il commerciante che per il consumatore. E sfortunatamente sembra che le due categorie abbiano idee diverse sull’argomento, ed è lì che scatta la polemica. Io sono comunque dell’idea che la soluzione sia nello stabilire crediti d’imposta per tutti, invece che avere obblighi sui quali poi nessuno controlla veramente.