Da qualche settimana a questa parte lo stato del New Jersey dove abito ha messo al bando le buste di plastica: dal supermercato al negozio di abbigliamento, d’ora in poi dovrai portarti la tua borse riutilizzabile dove mettere i tuoi acquisti. Ovviamente c’è stato un gran dibattito sull’efficacia di questi interventi governativi, con buona parte della popolazione a favore di questo cambiamento, e qualche voce solitaria fuori dal coro (inclusa quella del sottoscritto) a far notare che, sebbene sia un passo nella giusta direzione, alla fine dei conti si tratta della proverbiale goccia nel mare, utile solo a creare un fastidio alla gente, e nulla di più. Perché questo cambiamento forse ci fa sentire con la coscienza a posto, ma la realtà è che dovremmo rivoluzionare la filiera di confezionamento dei prodotti. Per decenni ci hanno martellato di pubblicità progresso per insegnarci a riciclare, ed ora si scopre non solo che il riciclaggio della plastica non funziona, ma che alle azienda non interessa proprio fare la propria parte.
L’agenzia dell’ambiente americana non aggiorna i dati sulla quantità di materiali plastici riciclati dal 2020, e quell’ultima stima era relativa al 2018, quando la quantità di materiale riciclato in proporzione a quello della raccolta differenziata fosse un misero 8,7%. Eppure tutti continuiamo ingenuamente a pensare che la differenziata sia la soluzione, e mettiamo fuori dalla porta il bidone con plastica e vetro speranzosi di contribuire ad un mondo migliore. Prima che gli ecologisti vengano a farmi la pelle per questo post, vorrei precisare che il sistema di riciclo dei materiali in generale funziona: carta, cartone e metalli vengono riutilizzati con successo in varie industrie. Il problema è la plastica: si presenta in varie forme (dal PVC al polietilene), e spesso non può essere catturata dal sistema, e finisce nelle discariche. Non possiamo più farci ingannare dagli illusori propositi di “economia circolare della plastica” promossi da aziende ed associazioni di categoria. I dati che ci mette sotto il naso la scienza parlano chiaro: persino l’acqua che beviamo è piena di fibre di plastica, con tutte le conseguenze per la nostra salute che possiamo facilmente immaginare.
“Bene”, diranno i miei piccoli lettori, “e la soluzione per te quale sarebbe?” La messa al bando delle plastiche monouso non deve limitarsi alle buste del supermercato, ma va estesa all’intera filiera. Che senso ha togliere la busta alla cassa quando poi i cetrioli sono incellofanati individualmente, o se le insalate sono vendute in buste di plastica, o se la vaschetta della carne è fatta di polistirolo che non può essere riciclato, o ancora se tutta l’acqua che beviamo è messa in contenitori di plastica monouso? Quand’ero piccolo, ricordo sempre che ogni settimana andavamo a riempire dei bidoni da 20 litri ad una fontana fuori paese, dove dicevano che l’acqua era buona. Ecco, perché non incentivare l’uso di fontane pubbliche sparse per la città, dove poter riusare le bottiglie invece di buttarle via? Possibilmente bottiglie di vetro, per eliminare quanto più possibile le fibre di plastica dalla nostra alimentazione. Tutti i luoghi pubblici (aeroporti, stazioni, uffici comunali) dovrebbero mettere a disposizione fontanelle dove riempire le proprie bottigliette.
Anche perché nel frattempo la popolazione mondiale continua a crescere a dismisura, ed il modo in cui è gestita la catena di distribuzione si basa su un approccio insostenibile a lungo andare. Le soluzioni sono tutte attorno a noi, basta solo avere la buona volontà (politica) di metterle in pratica.