due chiacchiere

Un passo cruciale verso un web inclusivo in Europa

C’era un tempo in cui sfornavo post sull’accessibilità del web in maniera più proficua e costante. Erano i tempi in cui ancora il web si stava consolidando, le tecnologie ancora acerbe cercavano di soddisfare le esigenze più disparate, dall’interattività al commercio elettronico, passando per la disponibilità di elementi multimediali (che ne sanno i giovani d’oggi di Adobe Flash) e delle prime piattaforme sociali. In questo Far West tecnologico, alcuni cominciavano a predicare l’uso di un approccio più inclusivo di tutta quest’informazone, un approccio che tenesse un occhio di riguardo verso coloro che, ad esempio, non necessariamente usano un mouse ed una tastiera per navigare in rete. Negli anni questa cultura si è pian piano consolidata in norme nazionali che sono diventate un punto di riferimento in quest’ambito. Ora finalmente l’Europa ha deciso di unificare il quadro normativo.

L’accessibilità del web è un principio che mira a superare le barriere digitali e garantire che nessuno sia escluso dall’accesso ai servizi online, favorendo inclusività e pari opportunità. Questo si traduce in requisiti specifici per siti web, app mobili, piattaforme e-commerce, lettori di ebook, bancomat e altri servizi che includono un’interfaccia digitale. A partire da giugno 2025, la Direttiva Europea sull’Accessibilità imporrà a coloro che operano nell’Unione Europea nuovi standard per garantire l’accessibilità digitale. Questa è l’Europa che io vorrei vedere più spesso: un’organizzazione coordinata e federale delle regole a cui devono sottostare cittadini ed aziende, anziché un approccio frammentato in cui ogni Stato membro fa come gli pare, per la gioia degli operatori che devono adeguare i propri sistemi appena superano i confini nazionali.

Ma di cosa si tratta, esattamente? Questa direttiva è una normativa che richiederà a prodotti e servizi digitali di soddisfare criteri di accessibilità secondo linee guida ben definite. In Italia già dal lontano 2004 abbiamo quella che tutti conoscono come Legge Stanca (non perché non si è riposata, ma per via del nome di colui che all’epoca la ideò), e da quello che ho letto, la normativa europea riprende gli stessi principi generali, ispirandosi allo stesso tempo a quello che il consorzio internazionale del web ha emanato in questi ultimi anni.

Obiettivi e impatto

Il principale obiettivo della direttiva è armonizzare le normative sull’accessibilità digitale in tutta l’UE. Attualmente, le leggi sull’accessibilità variano tra gli Stati membri, creando confusione e costi aggiuntivi per le aziende che operano in più Paesi. Con l’introduzione di requisiti unificati, l’UE intende ridurre le spese di conformità e promuovere innovazione, rendendo la transizione più agevole per tutte le organizzazioni. Questo cambiamento avrà un impatto rilevante non solo sulle aziende europee, ma anche su quelle estere che offrono servizi o prodotti nell’Unione.

Ma se da un lato questa può sembrare soltanto una spesa per adeguare i propri sistemi, dall’altro bisogna piuttosto vederla come un’opportunità, come un investimento per adottare pratiche di accessibilità che consentiranno di ampliare il bacino d’utenza dei propri servizi, miglioreranno il posizionamento nei motori di ricerca, perché in fin dei conti, i sistemi di indicizzazione di Google e soci beneficiano di quest’informazione aggiuntiva per capir meglio come catalogarla. Ed ovviamente, un po’ come capita con le marche che mettono i famigerati bollini biologici, anche in questo caso, la possibilità di poter vantare un alto livello di accessibilità, consentirà di migliorare l’immagine di un’azienda.

Linee guida per la conformità

Per rispettare la direttiva europea, le aziende devono seguire le Web Content Accessibility Guidelines (WCAG) in tutte le fasi di sviluppo dei prodotti digitali. Le WCAG si basano su quattro principi chiave:

  1. Percepibilità – Gli utenti devono poter percepire tutte le informazioni presentate.
  2. Operabilità – Gli utenti devono essere in grado di navigare e interagire con l’interfaccia.
  3. Robustezza – I contenuti devono essere compatibili con vari tipi di tecnologia assistiva.
  4. Comprensibilità – I contenuti devono essere facilmente comprensibili.

L’acronimo, almeno in italiano, non suona bene come il POUR (versare) inglese, ma penso sia ugualmente facile da ricordare 😅. Su questi quattro principi è poi costruito l’intera impalcatura delle varie regole e di come vanno implementate, tipo l’ottimizzazione della navigazione per tastiera, la riduzione delle barriere visive, e l’adozione di design accessibili per i colori e i testi.

Rischi della mancata conformità

Le aziende che non adegueranno i propri servizi rischiano, come è giusto che sia, sanzioni significative. La gestione delle multe e delle penalità sarà demandata agli Stati membri, e quindi c’è sempre il rischio che poi vada a finire a tarallucci e vino, come in parte è accaduto con la Legge Stanca. Sarebbe opportuno istituire, a mio parere, un organo dedicato, una specie di Garante dell’Accessibilità, con poteri esecutivi simili a quelli assegnati al garante della privacy. Vedremo se qualcuno del governo coglierà questo suggerimento.

Commenti

  1. Mondo in Frantumi ha scritto:

    Oink oink! 😛
    È giusto adeguarsi alle nuove consapevolezze – un motivo per il quale ad esempio Bluesky è particolarmente apprezzato dai nuovi utenti è proprio il fatto che obblighi a essere più inclusivi (ad esempio, senza mettere l’alt per le immagini il post non parte), cosa che non ricordo avvenisse su X.

    Risposte al commento di Mondo in Frantumi

    1. camu ha scritto:

      Si, le principali piattaforme social sono le peggiori in questo senso, specialmente quando poi si fa il salto dal sito all’app sul cellulare. Però è bello vedere che qualcuno inizia a pensarci…

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