C’era una volta a Bloglandia qualcuno che ogni anno si faceva carico di organizzare un’iniziativa chiamata Il post sotto l’albero. Una raccolta curata in un comodo libretto di articoli scritti dagli abitanti di quest’immaginario paesello, che rappresentava quasi un rituale religioso a cui tutti volevano partecipare. L’iniziativa di Squonk m’è venuta in mente pensando ad un rito che, sin dagli esordi di questo blog, ho ripetuto anno dopo anno: commentare l’annuale rapporto pubblicato dal Censis per riassumere i dodici mesi che stanno per concludersi. Mi è stato chiesto a volte come mai io ancora m’interessi così tanto del Belpaese, dopo aver deciso di emigrare negli Stati Uniti, e perché io sembri voler trovare continuamente il proverbiale pelo nell’uovo italico, quando in realtà dovrei far più attenzione alla trave conficcata nell’occhio del Paese a stelle e strisce.
La mia amarezza è dovuta al fatto che il sistema Italia costringe tante persone ad emigrare dai loro paesini d’origine (spesso dal sud) ed a ricominciare una nuova vita in un luogo straniero, con la speranza di trovare quello che le realtà locali non potevano offrire. Il rapporto del Censis non lo leggo gongolando e pensando di aver fatto la scelta giusta espatriando e lasciandomi alle spalle tutti i problemi, anzi. Lo leggo con la tristezza nel cuore, perché anche a 8000 chilometri di distanza, il cordone ombelicale con la mia terra natia non s’è mai spezzato, ed onestamente mi farebbe piacere un giorno tornare da quelle parti e trovare un Paese più moderno, culturalmente più emancipato e socialmente più unito. Questo rito annuale ha quasi uno scopo propiziatorio: far riflettere il navigatore casuale che passa da queste parti, affinché nel suo piccolo contribuisca a cambiare le cose. Perché come cantava qualcuno tanti anni fa, in fondo “gli altri siamo noi”.
(dal sito dell’Ansa) Malinconici, spaventati dagli eventi globali che possono da un momento all’altro compromettere presente e futuro, sempre meno disposti a seguire le sirene degli influencer e del lusso ma anzi indignati dallo sfoggio di denaro e dalle diseguaglianze economiche ostentate nella vita e sui social. Questo è il ritratto degli italiani che emerge dal 56° Rapporto Censis, quello che fotografa un Paese “entrato nel ciclo del post-populismo”. Sullo sfondo il primato europeo dei neet, le aule scolastiche sempre più vuote a causa della contrazione demografica e la sanità che dovrà affrontare una carenza di personale.
[..] Per quanto riguarda le competenze degli adulti, in base allo European Skills Index l’Italia si posiziona all’ultimo posto, per il terzo anno di fila. L’indice elaborato da Cedefop rileva che la performance degli italiani è il 15,1% di quella ideale. Il nostro Paese si distingue per la totale difficoltà ad attivare le competenze di cui pure dispone (punteggio 1,7%), vista l’alta percentuale di giovani 18-24enni che hanno abbandonato precocemente gli studi e sono nella condizione di neet.
La questione delle competenze è ciò che mi ha colpito di più, leggendo il rapporto, e si riallaccia alla critica che ho sempre fatto al modo in cui i governi precedenti hanno ideato il famigerato reddito di cittadinanza che ad alcuni piace così tanto. Mentre negli altri Paesi europei (già, l’Europa di cui siamo fieri di far parte) hanno messo in campo misure per legare il sussidio statale ad un ben preciso piano di formazione, in Italia non c’è scadenza, non ci sono controlli, ma soprattutto non c’è formazione. E non lo dico io. Ecco un estratto da una puntata della trasmissione Focus Economia del 25 novembre scorso, dove il conduttore ed il ministro dicono esattamente la stessa cosa.
(Barisoni) Però una cosa voglio dire prima: che cosa succede negli altri Paesi, molti mi hanno scritto “guardi che esiste anche negli altri Paesi”. Vado con una rapida carrellata. In Germania è vero che hanno deciso di aumentare l’assegno mensile da 449 a 500 euro. Ma attenzione, chi non si presenta a colloquio perde l’assegno minimo. E poi la responsabilità maggiore sarà raggiunta dai 900 uffici di collocamento, che lì funzionano bene, di cui 600 sono dell’agenzia statale per il lavoro, 301 sono job center. Al primo rifiuto il lavoro viene tagliato del 20%, la seconda volta del 30%. In Francia l’aiuto dura solo nove mesi ed è parte di un piano di formazione, ed è stato ridotto da 12 a 9 mesi. E tra l’altro perché questo c’erano 317.000 posti vacanti anche in Francia, non riescono ad essere piazzati i posti di lavoro, e quindi viene ridotto da 12 a 9 mesi, ed è un piano di formazione. In Gran Bretagna dopo quattro settimane ogni offerta va accettata. Il portale del Governo si chiama “find job” e il sussidio si chiama universal credit. Ci sono 1.300.000 posti da colmare, quindi il tempo in cui si può ricevere sussidio cercando lavoro scende da tre mesi a quattro settimane, visto che ci sono molti posti vacanti.
In Spagna hanno speso 8 miliardi per ricollocare i disoccupati, lì hanno una disoccupazione molto alta, di lunga durata, e dura dodici mesi e tra i 400 euro ed i 1000 euro al mese a seconda della composizione della famiglia. Quindi, come vedete, c’è una durata che non è illimitata che è la cosa folle di questo reddito. Cioè lo prendevo e poi boh, chiaro che non spinge nessuno a cercarsi un lavoro e riqualificarsi. Iniziamo a mettere una scadenza, per alcune tipologie. Io avrei preferito più che l’occupabilità… anche perché l’occupabilità al sud è una cosa, cioè se mi dici qual è il tasso di occupabilità in Calabria, ma è ovvio che è diverso dal Veneto. Altra cosa per dire scusami a 23 anni a 24 anni se non trovi lavoro, vai accetti offerte da altre parti. A meno che non vogliamo stabilire che adesso è illegale anche il trasferimento dalla Calabria al Veneto, mentre è legalissimo il fatto che se ne vadano decine di migliaia di giovani dal sud all’estero, su! Meglio trattenerli in Italia.
Perché lo dico, perché si è aperto ieri Job Orienta Verona alla Fiera di Verona, che è dove si incontrano il mondo della formazione professionale e le offerte di lavoro. È intervenuto oggi il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, intervistato dalla nostra Maria Piera Ceci, che era lì inviata, ed ha detto formazione non reddito di cittadinanza per i ragazzi che hanno titoli di studio bassi.
(Ministro) Oggi un ragazzino, un ragazzo di 18 anni 19 anni di vent’anni che ha solo la quinta elementare, che cosa può fare? Quali offerte di lavoro riuscirà ad avere? E allora è responsabilità di un governo, di un ministero e di una scuola che vuole il bene di questi ragazzi, di offrire a loro un percorso di completamento. Ci sono i CPIA? Bene, incoraggiamo gli a frequentare i CPIA, per portare a compimento. Ma francamente lasciarli in quella condizione dando il reddito di cittadinanza significa semplicemente farli galleggiare e non dare a loro un futuro. Ma di che stiamo parlando? Un ragazzo di 18 anni che ha la quinta elementare rischia il fallimento. Fallimento! Rischia di non realizzarsi. Sono stufo di chi gioca con le parole.
Riguardo all’America, non c’è dubbio che, dopo l’entusiasmo dei primi anni, la patina dorata che nei miei occhi ricopriva ogni cosa ha iniziato a far intravedere il lato più arrugginito e meno idilliaco dei vari aspetti della società statunitense: dall’ossessione esasperata (ed esasperante) per le armi all’estremismo politico di questi ultimi anni, questa non è più la nazione che abbiamo conosciuto tramite i telefilm di A-Team e Baywatch degli anni Ottanta. Quella genuinità semplice ha lasciato il posto ai toni aspri ed aggressivi di un popolo diviso dal politically correct estremo, un tutti contro tutti che ha dilaniato il tessuto sociale che da sempre era il punto di forza di questo Paese. Ma questa è materia per un post a parte.