Non ho ancora capito il motivo per il quale l’Agenzia delle Entrate ha deciso, di sua spontanea volontà, di pubblicare i redditi degli Italiani in rete, qualche settimana fa. Nel loro comunicato stampa si legge:
La forma di pubblicità dei dati reddituali prevista dal legislatore consiste nella consultabilità dei dati da parte di chiunque. La ratio della norma è quella di favorire una forma di controllo diffuso da parte dei cittadini rispetto all’adempimento degli obblighi tributari. La scelta di Internet quale mezzo di comunicazione è stata fatta per adeguare i comportamenti dell’Agenzia a quanto stabilito dal Codice dell’amministrazione digitale varato nel 2005, che impone alla PA di utilizzare come strumento ordinario di fruibilità delle informazioni la modalità digitale.
A parte che ci sono tante altre cose che sarebbe bene adeguare al Codice dell’Amministrazione digitale, prima dei dati sui redditi, ma cosa significa “favorire una forma di controllo diffuso”, se non alimentare il gusto tutto italiano di spiare parenti e vicini di casa.
Personalmente come dipendente, non ho nulla da nascondere, ma il provvedimento mi lascia fortemente perplesso: allora tanto vale appendere le buste paga aziendali direttamente in bacheca, a fine mese. Perché questo non lo si può fare? Sarebbe più facile, comodo e soprattutto trasparente. E non risolverebbe il problema dell’evasione fiscale: anche supponendo che il mio vicino guadagna ufficialmente pochissimo eppure può permettersi il Cayenne, cosa posso fare io? Quanti hanno chiamato la Guardia di Finanza per denunciare situazioni analoghe? E soprattutto, davvero le forze dell’ordine si basano su queste illazioni per aprire un procedimento a carico dei sospettati?
Avrebbe avuto molto più senso pubblicare, in una specie di gogna mediatica, i dati degli evasori scoperti dal Fisco: il poter scoprire che il vicino di casa è stato evasore, nel 2005, ha già molto più senso e crea quel senso di pudore e vergogna tanto ben descritto nel romanzo La lettera scarlatta. Ma desumere dai dati del Ministero che un italiano su due guadagna circa 15 mila euro lordi all’anno, lascia solo l’amaro in bocca, e la sensazione di vivere nel Paese delle banane, nulla di più. Forse solo la magra consolazione di poter allenare il proprio voyeurismo verso il collega o il parente serpente.
Per di più facciamo la figura del solito Paese che prima agisce e poi pensa, a livello internazionale: il New York Times ha scritto un interessante articolo in merito, qualche giorno fa; mi spiace non riuscire a trovare più il collegamento sul sito. Già, perché prima si pubblicano i dati e poi si consulta il Garante della Riservatezza per capire se questa mossa è legittima o meno. E quando quest’ultimo intima il dietro-front, i politici di turno non hanno di meglio da fare che strumentalizzare la faccenda. Sono perplesso.
Commenti
Grazie innanzitutto per l’apprezzamento, più che un piacere è per me un onore.
Mentre in merito alla pubblicazione online dei redditi il nostro punto di vista è abbastanza simile, personalmente mi sono trovato in disaccordo non tanto nel merito quanto nel metodo. Tutte le dichiarazioni dei redditi, per definizione, sono pubbliche e visibili tranquillamente facendone richiesta in comune. Il metodo utilizzato invece ha avuto quasi del “terroristico” per le modalità di pubblicazione, senza preavvisi e lasciando libero l’accesso indiscriminato anche dall’estero.
Concordo sul principio “se non hai niente da nascondere, non c’è problema”, ma come hai detto anche tu, una cosa del genere serve più che altro a soddisfare istinti di voyerismo. Non di certo ad abbattere l’evasione fiscale.
Un salutone 😉
A dir poco perplessa pure io, e infatti quello che da subito è sembrato un passo falso (nonostante a sorpresa un sacco di gente pensasse fosse giusto che i redditi fossero online) si è confermato tale (per usare un eufemismo) visto che addirittura Romano si è dimesso . Sono stati online poche ore e già sono in giro in ogni dove , internet è un mezzo molto potente usare la testa PRIMA di fare certe cose sarebbe obbligo