due chiacchiere

Sono tornato a donare sangue dopo 17 anni

Era il lontanissimo Novembre 2008 quando provai a donare sangue qui in America. Ricordo quel giorno molto bene: ero arrivato nel Paese a stelle e strisce da qualche mese, ed oramai il lavoro al Bronx andava bene. Un giorno ci arrivò una email dall’ufficio personale, in cui ci dicevano che l’equivalente dell’AVIS statunitense sarebbe venuta con il loro centro mobile (un pulmino equipaggiato di tutto l’occorrente) a raccogliere donazioni volontarie. Come i miei piccoli lettori di vecchia data forse ricorderanno, quand’ero in Italia ero un convinto donatore, vuoi perché lo sentivo come un dovere personale, dopo che mio nonno era morto anni prima di leucemia ed aveva ricevuto tantissime trasfusioni, vuoi perché mi davano la giornata libera al lavoro 😉 Così ero convinto di voler continuare questa tradizione anche qui, e mi presentai alla porta del camioncino parcheggiato ad un paio di isolati dall’ufficio. Non immagini la mia delusione, come raccontavo nel 2008, quando mi dissero che non potevo donare perché ero vissuto in Europa durante il periodo della mucca pazza, e siccome non esisteva un test per il morbo di Creutzfeldt-Jakob, non potevano stabilire se il mio sangue fosse sicuro o meno.

In questi anni ho tenuto d’occhio le normative e le restrizioni per capire se e quando questa restrizione sarebbe stata eliminata, ma continuavo a leggere informazioni contrastanti. Poi, un paio di settimane fa, il liceo dove ora va la figlia grande ha mandato una comunicazione a tutti i genitori, in cui dicevano che una studentessa aveva organizzato, in collaborazione con un ente di New York, un blood drive, un evento in cui si invita la gente a donare sangue per una buona causa. Ed allora mi sono detto: mi presento, e male che va mi diranno che ancora non posso donare. Invece, con mia grande sorpresa, quando mi hanno dato il modulo con tutte le domande per stabilire se il mio sangue fosse sicuro, ho visto subito che alla domanda “Sei vissuto per almeno 5 anni in uno di questi stati tra il 1990 ed oggi” l’Italia non era più nell’elenco. Ho spiegato la mia situazione all’infermiera che si occupava di valutare lo stato di salute dei volontari, e lei mi ha confermato che in effetti le regole erano cambiate, e che avrei potuto regolarmente donare sangue quella sera.

Dettaglio del volantino dell'iniziativa con scritto: Tap into saving lives: pint for a pint.

Dopo un’attesa di circa 30 minuti, dovuta alle tante persone che avevano deciso di aderire all’iniziativa (per lo più studenti del liceo, bravi!), una simpatica infermiera mi ha invitato a sedermi su una delle poltrone, e mi ha attaccato alla macchinetta vampiro, dopo avermi misurato la pressione. Circa 20 minuti dopo la sacca di 500 millilitri era già piena, e mi hanno fatto accomodare in una saletta d’attesa per verificare che non avessi disturbi di alcun tipo. Mi hanno anche dato un coupon per una birra gratis ad un pub della zona: l’iniziativa si chiamava infatti A pint for a pint, ovvero una pinta (mezzo litro) di sangue in cambio di una pinta di birra. Peccato solo che, a differenza dell’Italia, qui non mi diano la giornata libera dal lavoro 😅.

Commenti

  1. Paolo
    ha scritto:

    Sono curioso di sapere come viene gestito il processo dopo la donazione. Ti mandano gli esami? con che modalità?

    Risposte al commento di Paolo

    1. ha scritto:

      Si, l’associazione ha un sito dove puoi entrare nella tua area riservata, che elenca la storia delle donazioni, gli esami del sangue e quando potrai donare di nuovo (piastrine, sangue, ecc). Immagino che anche l’Avis oramai abbia un sito simile? Ai miei tempi era il tesserino cartaceo su cui scrivevano la data della donazione.

      Risposte al commento di camu

      1. Paolo
        ha scritto:

        La sanità è gestita a livello regionale per cui ogni regione fa caso a parte.
        In Puglia è tutto pubblico, le associazioni organizzano le giornate di raccolta chiamando i donatori, ma tutta la parte medica, dagli esami prima e dopo, al prelievo effettivo, all’hardware necessario è tutto gestito dal personale della ASL.
        In altre regioni c’è la raccolta associativa in cui il personale medico è assunto dalle associazioni e il sistema sanitario si occupa solo della validazione e dell’uso di quanto raccolto.
        In altre regioni ancora c’è un sistema misto.
        Anche per i referti ogni regione fa da sé. In Puglia hanno un nuovo sistema per la gestione che però non viene usato dagli ospedali privati. Questo sistema ha mostrato diversi problemi (e gira voce che sia perché nel bando di gara non era prevista l’assistenza, per cui gli sviluppatori si rifiutavano di metterci mano prima di essere pagati).

        Risposte al commento di Paolo
        1. ha scritto:

          Si, ora che ci penso, quand’ero in Toscana mi recavo all’ospedale in città per effettuare la mia donazione. Andavo in una stanzetta designata, dove c’erano le poltrone ed il medico che si occupava di farti le domande sullo stato di salute. Dopo qualche giorno ti spedivano a casa una busta con i risultati delle analisi. Peccato che sia un sistema frammentato, e che come al solito, l’interesse per il portafogli prevalga sul senso umanitario della donazione.

  2. Trap
    ha scritto:

    Mi hai quasi letto nella mente, quando ho letto il titolo nel mio feed rss, ero curioso di saperla QUELLA cosa eh eh

    Risposte al commento di Trap

    1. ha scritto:

      La mia capa a Pisa mi odiava, perché le escogitavo tutte pur di saltare un giorno di lavoro 😁

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