due chiacchiere

Cento domeniche

“Negli ultimi anni decine di miliardi di euro sono andati in fumo nei crac bancari. Pochi privilegiati sono riusciti a mettere al riparo i loro soldi. Centinaia di migliaia di persone non ci sono riuscite. Questo film è dedicato a loro.” Queste sono le frasi che appaiono nei titoli di coda del film Cento Domeniche, che vede Antonio Albanese vestire i panni di un papà di provincia che da sempre sogna di accompagnare all’altare la propria unica figlia. Un uomo che ha sempre tenuto la testa bassa, che ha lavorato per 40 anni per mettere da parte i risparmi per coronare quel sogno. A me Albanese è sempre piaciuto come attore, sia nei ruoli prettamente comici che in quelli dove tira fuori l’unicità del suo modo agrodolce di raccontare una storia. Ma io già lo seguivo ai tempi di Mai Dire Gol, quando si esibiva nei suoi personaggi che ancora oggi sono nella memoria di noi tutti (o almeno di quelli che hanno superato la quarantina come me 😅). Solito annuncio ai naviganti prima di proseguire: nel seguito citerò dettagli della trama, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, fermati pure qui per oggi.

 mentre si dirigono verso l'altare

Partiamo da un riassunto dei fatti. Emilia, la figlia del protagonista, comunica al padre Antonio che lei ed il fidanzato hanno deciso di sposarsi. Antonio vuole rispettare la tradizione secondo cui è il padre della sposa a doversi sobbarcare tutte le spese del matrimonio, così si reca alla fidata banca del paese per ritirare parte dei suoi risparmi. Il nuovo direttore della filiale però lo convince a mantenere il suo capitale investito in azioni e a farsi erogare dalla banca un prestito, visto che quelle azioni, a detta di Girardi, “stanno galoppando” e quindi sarebbe da sciocchi venderle proprio adesso. Antonio, un po’ perplesso, finisce col fidarsi delle parole del direttore. Le cose sembrano andare a gonfie vele, fino a quando non iniziano a circolare strane voci sulla situazione patrimoniale della banca.

Ad essere sincero, mi aspettavo una storia un po’ diversa, ma questo anche perché mi sono tuffato nella visione senza neanche guardare il trailer, sapendo che Albanese è un nome, una garanzia. Non fraintendermi, non sto dicendo di essere rimasto deluso quando i titoli di coda sono apparsi sullo schermo, anzi. Per molti versi, questo film mi ricorda una delle mie pellicole preferite di tutti i tempi, Un giorno di ordinaria follia, quello in cui Michael Douglas si trasforma molto lentamente da tranquillo cittadino in pazzo furioso. No, il nostro protagonista non si mette a sparare per strada ai delinquenti come il suo omologo americano, ma il percorso di abbrutimento è molto simile. In entrambi i casi, i due personaggi sono spinti a trasformarsi da una sequenza di fattori esterni su cui non hanno nessun controllo.

Che è un po’ il sentimento che tutti proviamo in questi anni: tra crisi finanziarie mondiali, globalizzazione che collassa, pandemia, guerre e quant’altro, l’uomo di strada ha sempre di più la sensazione di aver perso quel briciolo di certezza che viene dal sentirsi in controllo della propria piccola vita di provincia. Ed il titolo stesso del film, Cento domeniche, conferma questo cambiamento radicale rispetto ai nostri padri: quello era il tempo che in media un operaio della provincia italiana degli anni Sessanta impiegava per costruire la propria casa, come spiega brevemente un ex collega di Antonio a cui egli fa visita in ospedale. Oggi la casa è soltanto un miraggio, in Italia come in America, con i tassi d’interesse alle stelle e l’esiguo numero di abitazioni sul mercato, che strizza i prezzi fino a farli schizzare alle stelle.

Albanese ci racconta la storia drammatica di tanti uomini e tante donne che hanno perso tutti i propri risparmi a causa di crack bancari. Persone rovinate per sempre e per giunta umiliate dalla vergogna di non essersi accorti di nulla, di non aver letto fino in fondo cosa stavano firmando. Il film affronta una tematica così delicata costruendo una situazione idilliaca nella provincia lombarda, in cui impariamo ad affezionarci al protagonista e ad apprezzare la sua famiglia e gli amici. Guardando questo ritratto realistico e amaro di una piccola Italia che sta scomparendo, non ho potuto fare a meno di notare la coerenza e la lenta escalation che porta l’uomo qualunque alla disperazione.

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