In queste sere calde d’estate, quando non si esce non c’è nulla di meglio che guardare un film impegnato, giusto? Beh, ognuno decide di farsi del male come crede. Io e la moglie così ci siamo messi a guardare Il destino nel nome, una produzione indiana dell’anno scorso che era rimasta nella lista delle cose che non possono mancare al bagaglio culturale di un possessore di blog, come il sottoscritto. Viene raccontata la storia di una coppia indiana che si trasferisce negli Stati Uniti, Paese delle tante opportunità e dalle tante contraddizioni. I primi tempi sono difficili: l’integrazione è lenta e crea a volte incomprensioni tra i due. Poi nasce il loro primogenito: Gogol. Il motivo per cui gli hanno dato questo nome viene raccontato poco alla volta, durante tutto il film. Voto: 8.
(dalla recensione) Calcutta come NewYork, il Gange come l’Hudson. Nel giro di una generazione molto si perde del proprio popolo non vivendoci più fianco a fianco, ma non per questo si perde il senso di appartenenza. “Il destino di un nome” diventa così un film sulla memoria, sull’identità, sulla necessità che ognuno di noi ha di essere e diventare libero mantenendo comunque saldo il rapporto con le proprie radici. Una storia che non ha grossi picchi emotivi, non affronta con il taglio della commedia il confronto fra la nuova e la vecchia cultura (visto in tanti film), ma che cerca invece di affrontare i propri temi quasi con l’approccio più descrittivo tipico della biografia.