due chiacchiere

L’inglese s’impara sul campo

Quando arrivi negli Stati Uniti, la prima cosa che ti preoccupa è ovviamente la lingua: farsi capire è fondamentale per compiere qualsiasi azione, dal comprare un pezzo di pane fino ad ottenere la patente di guida. In genere chi ha studiato inglese alle scuole superiori, pensa di affrontare, sprezzante del pericolo, ogni interlocutore senza timore. Questa falsa certezza crolla al primo scambio di battute, quando la persona con cui vuoi parlare ti chiede “How are you doing?” (o peggio nella forma abbreviata “How doing“). Ma come? Non avrebbe dovuto dire, che so, Good morning oppure Hello? Il panico ti fa diventare paonazzo: cosa si risponde in questo caso? Ma soprattutto, che diamine ti hanno appena chiesto?

Ebbene si, i tuoi libri d’inglese, quelli che ti hanno insegnato a dire “La mia penna gialla è sul tavolo” oppure a chiedere l’orario e rispondere nell’inglese britannico con un forbito “dieci minuti alle sette”, diventeranno praticamente carta straccia, una volta varcata la frontiera. Qui si usa dire Good night al collega, quando si torna a casa dopo una giornata di lavoro, ed è considerato molto scortese non chiedere “Come stai” (How are you doing, appunto) al tuo interlocutore, anche se si tratta della cassiera del supermercato.

Nella fretta di imparare, anche gli errori più imbarazzanti sono dietro l’angolo. L’altro giorno volevo dire “Vado a lavarmi i denti” (I’m going to brush my teeth), ma invece che pronunciare la “t in mezzo ai denti” finale, ho usato la T dura. Così invece di “tif” mi è uscito “tit”, praticamente ho detto che stavo andando a spazzolarmi le tette. Una volta invece volevo radermi (I wanted to shave my beard) la barba, ma dalla pronuncia, gli altri hanno capito che stavo andando a radermi… l’uccello (my bird). Come si suol dire, sbagliando s’impara.

Commenti

  1. Emanuele ha scritto:

    Quanto hai ragione… ricordo ancora la mia ultima esperienza a Londra (a 17 anni).
    Entrai con un amico in un pub alla ricerca di un lavoro… uscimmo entrambi ridendo perché la simpatica ragazza ci rispose con una discussione di 5 minuti che non capimmo completamente. 😀
    Altro che la penna sul tavolo… 😛
    Ciao,
    Emanuele

  2. chicca ha scritto:

    very funny! dubbio amletico: come si risponde a “how’re you doing?”

  3. zardo ha scritto:

    Perché l’Italiano per gli stranieri invece si impara sui libri? E questo vale per qualsiasi altra lingua. Credo che sia ovvio che le lingue si imparino solamente vivendo nel luogo in cui vengono parlate. Anzi, ora che lo scrivo penso una cosa e mi contraddico: la lingua e la grammatica si impara sui libri; il modo di parlare, le inflessioni, i modi di dire, insomma il linguaggio verbale si impara parlando. E le due cose sono chiaramente collegate ma anche molto molto diverse.

  4. chicca ha scritto:

    preciso la domanda: ricordo che la risposta scolastica a “how do you do” é “how do you do”… forse pero’ in questo caso uno si puo’ permettere “fine, thanks”.. un po’ come a “come ti va”…

  5. camu ha scritto:

    Zardo, hai perfettamente ragione, ogni lingua va imparata sia sui libri che sul campo. Senza la grammatica non si va molto lontano, questo è vero. Anche se quando ti trovi ad avere poco tempo per comporre una frase, perché sei nel bel mezzo di un dialogo, spesso le regole grammaticali vanno a farsi friggere. Vuoi per la velocità che devi mantenere, vuoi per il cervello che inizia a mostrare segni precoci di invecchiamento 🙂 Devo sostituire il mio Celeron celebrale con un buon AMD Quad Core.
    Emanuele, ci sono passato anch’io. Ero dal barbiere ieri e la ragazza che mi lavava i capelli mi ha chiesto una cosa che proprio non riuscivo a capire, alla fine ho risposto “I don’t know” e lei mi ha guardato come fossi un alieno. Vabbè, la mia comprensione arriva oramai oltre l’85%, ma a volte capita qualche frase in quel risicato 15% 🙂
    Chicca, per la precisione “how do you do” vuol dire “piacere di conoscerti” o qualcosa del genere. Invece “how are you doing” è un saluto di cortesia per dire “come va” che qui è molto diffuso. La commessa del negozio di abbigliamento si offende se non le rispondo “Good, and you?” per ricambiare il gesto di cortesia. Mi piacerebbe che anche in Italia fosse così.

  6. chicca ha scritto:

    Qui se lo dico in un negozio mi prendono per pazza, vero. E’ un peccato! Spesso dico “grazie” aspettandomi un “grazie a lei”, ma a volte arriva un “prego” che mentre ritiri il resto stona un po’… Ciao

  7. camu ha scritto:

    FGC, sapevo di una tassa imposta sul doppiaggio, ma non capisco a quale legge ti riferisci esattamente. Vero è che ALCUNI (non tutti) docenti non sono all’altezza della situazione, ma visto come sono stati formati a loro volta, non li biasimo più di tanto. Però non ho mai detto che “è tutta colpa della scuola” anzi, se io oggi so l’inglese, in buona parte lo devo a quello (ed al mio spirito d’iniziativa nell’esercitarmi per conto mio a casa) Molti studenti oggi non vedono le potenzialità di quello che imparano, e non sono “attratti” da un metodo noioso e poco efficace.

  8. fabio carasi ha scritto:

    Tutta colpa del fascismo. Non sto scherzando. Per difendere la lingua patria a l’industria del cinema che gli serviva per la propaganda, il ducione ha promulgato una lettera che impose il doppiaggio dei film stranieri (cioè americani). Il fascismo è passato ma la legge no. Dopo il cinema è arrivata la tv ma la legge è rimasta. Gli italiani si sono abituati ad avere tutto doppiato e adesso è impossibile fargli perdere l’abitudine. Il resto del mondo vede i film e spettacoli tv in originale e, bene o male, parola per parola apprende pronuncia e cadenze. la scuola può quindi lavorare su un terreno già dissodato. Voi dite che è colpa della scuola, e fino ad un certo punto avete ragione, nel senso che il curriculum dell’inglese si preoccupa di più di farvi studiare la differenza tra preterite e present perfect che di farvi dire due parole in croce. parte della colpa è della impreparazione dei singoli insegnanti. Ma davvero vi fidereste ad imparare conversational english dai quei tizi? ed infine, una bella fetta di colpa l’hanno quanti non fanno nessuno sforzo per andare a cercarsi i materiali con cui imparare. a proposito, avete notato come praticamente tutta l’europa parla la versione americana (magari un po’ attenuata) dell’inglese, invece del british eglish? tutto merito di mamma tv.
    hasta la victoria siempre
    fgc

  9. valery ha scritto:

    mi hai fatto ride conle tue frasi diciamo non troppo giuste ehehehee iosonouna schiappa e ne farei di peggio..però ottimo coraggio di lasciare tutto e partire..per amore poi..sembra una trama di un film!

  10. alessandra ha scritto:

    Ciao a tutti..
    Sono a chicago per lavoro qualche mese….e non ero mai stata prima negli states…
    Ho infatti notato che camerieri, commessi ecc, quando ti vedono chiedono “how are you” nonostante non ti conoscano!! Io ho sempre risposto “good, you?” ma poi non ricevo altra risposta…forse dovrei dire altro?
    Cmq a parte questo io non ho avuto troppi problemi con la lingua e la scuola cmq mi ha aiutato….naturalmente non è solo colpa dei prof se i ragazzi non imparano….molte volte è colpa dei ragazzi stessi, che credono che studiare sia una seccatura ed invece col tempo ti ritrovi tutto a tuo favore!!

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