Dieci anni fa, settimana più, settimana meno, scrivevo di una metodologia d’insegnamento che mirava a capovolgere la dinamica tra docente ed alunno. L’idea di fondo sarebbe che l’alunno ha bisogno del docente principalmente quando fa i compiti a casa e c’è una cosa specifica che non capisce. Mentre è più produttivo guardare una lezione preregistrata, ed avere la possibilità di rivedere un passaggio e regolare la velocità d’apprendimento in base alle proprie capacità cognitive. Già all’epoca ero un grande sostenitore di questo metodo, figuriamoci nel 2020, quando il Covid ha costretto gli alunni di tutto il mondo a rimanere a casa a guardare il proprio insegnante tramite il computer. Sfortunatamente sono stati pochi i docenti che hanno avuto i mezzi e l’intuizione di metterlo in pratica, quindi alla fine, almeno qui in America, abbiamo assistito a situazioni ridicole con le maestre che mandavano email con le fotocopie dei compiti da leggere a studenti che tutto d’un tratto si trovavano persi nella confusione generale.
Però il Covid ci ha dato la possibilità di raccogliere grandi quantità di dati in quest’ambito, ed ora la ricerca sembra confermare che il metodo, quando applicato correttamente, funziona ed è apprezzato dagli studenti. Se poi viene affiancato da una piattaforma in grado di tracciare i passi avanti (o indietro) fatti da ogni studente, si vede bene come si potrebbe rendere l’insegnamento più personalizzato ed efficace. Invece che seguire una classe di trenta persone e cercare di adattare il passo alla media d’apprendimento (per non lasciare nessuno troppo indietro), l’insegnante potrebbe usare questa piattaforma per avere un quadro completo del singolo studente, ed aggiustare la velocità di conseguenza, senza penalizzare il resto della classe. Insomma, la pandemia ci ha dato un’occasione d’oro per rivoluzionare il sistema educativo globale, ma mi pare che nessuno sia interessato a cogliere quest’opportunità più unica che rara.