due chiacchiere

Mission Impossible: Dead Reckoning

La serie di film Mission Impossible mi è sempre piaciuta sin dai tempi dell’università, quando andai a vedere la prima puntata al cinema (chissà se c’è ancora il cinema a Pisa dietro la Superal a due passi da Corso Italia). L’iconica scena di Tom Cruise che si cala appeso ad un filo per rubare i dati da un computer supersicuro mentre sullo sfondo suona l’arcinota colonna sonora, fa oramai parte della cultura di massa. Così negli anni mi sono appassionato sempre di più alle avventure di Ethan Hunt, uno dei membri di quest’organizzazione parastatale chiamata ad impelagarsi in avventure proibitive che neppure gli agenti segreti più scafati sanno risolvere. Da poco è uscito l’ultimo episodio della saga, Dead Reckoning, prima parte. Che ho particolarmente apprezzato per due motivi (spoiler!): le scene girate in Italia, e la scelta del nemico di turno, l’intelligenza artificiale e la tecnologia che si rivolta contro l’umanità.

I due protagonisti di fronte ad una vecchia Fiat 500 scassata

Solito avviso prima di proseguire: nel seguito parlerò di alcuni dettagli della trama del film, quindi fermati pure qui se non vuoi rovinarti la sorpresa. Detto questo, partiamo dalla premessa che rispetto agli ultimi, ho trovato questo film molto divertente: il mix creato dal sodalizio tra il regista cinquantacinquenne Christopher McQuarrie e Tom Cruise si conferma a prova di bomba (nel vero senso della parola, ma non aggiungo altro) e per gli appassionati del genere, le due ore e quaranta di questa prima parte scorrono via in un soffio, alla stessa velocità dei folli inseguimenti che animano gran parte dell’azione. Inseguimenti in cui Cruise, come da tradizione, ha rifiutato l’uso di una controfigura, incluso il salto mozzafiato in motocicletta, fatto con pochissima grafica computerizzata.

Alcuni potrebbero etichettare questo film come la tipica americanata, e non metto in dubbio che lo sia: una lunga sequenza di situazioni al limite del credibile, in cui il protagonista riesce sempre a cavarsela al massimo con qualche graffio. Mi viene in mente la serie con Keanu Reeves, John Wick, ma sebbene abbia apprezzato entrambe (se non altro perché tutte e due hanno scelto l’Italia come palcoscenico per le avventure dei rispettivi protagonisti), la violenza estrema in John Wick trasforma questa pellicola quasi in una pubblicità dell’associazione americana di armi, con pochissime occasioni per strappare un sorriso allo spettatore tra una pallottola e l’altra. Al contrario, la squadra di Hunt è sempre una garanzia e la premiata ditta composta da Luther e Benji, riesce ad incarnare il lato più autentico ed empatico della vicenda, inclusi gli sprazzi da commedia brillante ben riuscita.

Il risultato è un film che intrattiene, diverte e conferma il successo della saga nella sua capacità di unire l’azione con un linguaggio contemporaneo ed efficace.

Commenti

  1. Franco Battaglia ha scritto:

    Questo genere di film, dove la sospensione dell’incredulità deve fare davvero i salti mortali come i protagonisti di dette pellicole, sono purtroppo ben accolti da chi vuole turbare meno neuroni possibili durante la visione. In quest’ottica andrebbero pacificamente accettati.
    Io purtroppo non ce la faccio. C’ho sempre qualche neurone che rompe.

    Risposte al commento di Franco Battaglia

    1. camu ha scritto:

      Si, io li accetto proprio in quell’ottica. So che si tratta di americanate inverosimili, ma almeno non sono i soliti macho man armati fino ai denti o pieni di superpoteri. Gli Avengers li guardo pure, ma anche quelli dopo un po’ sembrano essere sempre la stessa solfa, no?

Lascia un commento

Torna in cima alla pagina