Raramente commento i fatti di cronaca che mi capita di leggere sui giornali, ma la famosa sentenza sul caso Welby mi porta a fare delle considerazioni sul diritto di “costringere” una persona a vivere, come capita ad Eluana. So bene che si tratta di un terreno particolarmente spinoso, ma per me la soluzione è molto semplice: lasciare che la natura faccia il proprio corso. Non si tratta di ucciderla volontariamente, ma di impedire l’accanimento terapeutico fine a se stesso: il gusto di far soffrire chi non vorrebbe. Chi non può far altro che stare immobilizzato in un letto d’ospedale.
Credo che anche la religione, quando ricorda che solo il Creatore può togliere la vita che ci ha donato (sia esso Dio oppure Allah, Kannon o Jahvè), debba ammettere l’inopportunità di accanirsi a tenere vivo colui che l’Altissimo vorrebbe richiamare a sé. Le macchine non possono sostituirsi all’alito di vita naturale che abbiamo dentro di noi: se la natura decide che è giunta l’ora, e mette in campo i suoi sofisticati meccanismi, opporsi diventa straziante e controproducente. In particolare quando questa strenua lotta ingaggiata a suon di respiratori artificiali, ha il solo effetto di prolungare un’agonia già di per sé angosciante.
In altre parole, va bene salvare coloro che hanno speranza di risollevarsi: non è certo accanimento terapeutico estirpare un tumore o mettere un bimbo prematuro nell’incubatrice. Ma quando il messaggio è chiaro, allora bisogna che la testardaggine dell’uomo si metta da parte e lasci il passo al naturale procedere delle cose, così come è sempre stato. Per non parlare poi della legge: come si fa a dire “no, questa donna non può morire” perché la legge ancora è troppo vaga? Mi sembra un’elogio dell’azzeccagarbugli di manzoniana memoria.
Commenti
Concordo pienamente, credo che le persone abbiano il diritto di scegliere come farsi o non farsi curare in queste situazioni.
Purtroppo in italia la “morale” cattolita è molto forte e difficile da “bypassare”, basta vedere il risultato del passato referendum sulla ricerca delle cellule staminali.
clap clap clap
Ciao sono Justine. Sono approdata ora per la prima volta sul tuo blog e lo trovo interessante. Io concordo con quanto scritto da te in questo post ma non solo per quanto dici. Vorrei decidere per me stessa e sopratutto per le sofferenze che procurerei alle persone che mi stanno vicino. Nel senso che non vorrei vederli dedicare la loro vita a me che non ne avrei più una dignitosa. Questo ovviamente riguarda solo me (o meglio come lo vivrei io e quindi non vale per tutti) e solo in una situazione estrema. E poi non penso sia giusto cambiare il destino delle persone così. Vale però anche il discorso che se toccasse a qualcuno a me vicino (toccando ferro) forse non lo lascerei andare così facilmente. Ciao Just
I fatti di cronaca che hai citato mi hanno portato più volte a parlarne con mia moglie, alla quale ho sempre detto, nel caso, “staccami la spina”. Ma lei non recepisce. Inoltre non vorrebbe avere lo stesso trattamento da me.
L’argomento è spinoso…
Mi si perdoni il gioco di parole, ma quando si tratta di staccare una spina, l’argomento è ovviamente… spinoso. Io credo semplicemente che sia giusto non far soffrire le persone: se far morire Eluana significa farla soffrire lentamente con una lunga agonia, non sono d’accordo. Inoltre se è solo una vita artificiale, quella che si prospetta, non mi va bene. Ok aspettare qualche settimana, qualche mese anche… ma non anni, senza nessuna speranza. Questo significa andare contro la natura. E quindi contro Dio!