due chiacchiere

Everything everywhere all at once

Accidenti, sono già passati tre mesi da quando Sunshine ed io abbiamo guardato gli Oscar a stelle e strisce in TV, ed abbiamo scoperto un po’ di film interessanti da guardare (quando riusciamo a non addormentarci sul divano dopo una lunga giornata a correre a destra e sinistra). Uno dei film che ci ha incuriosito di più, avendo vinto un sacco di statuette, è stata Everything everywhere all at Once (a quanto pare il titolo non è stato tradotto in italiano), e così abbiamo deciso di guardarlo qualche sera dopo. Giusto io e lei spaparanzati sul divano, dato che alle figlie questa roba non sembra interessare molto. I primi venti minuti sono stati un po’ confusionari, specialmente per Sunshine che sospettava si trattasse di un film distopico, di cui lei non va certo matta come me 😉 D’altro canto non avevamo letto recensioni o guardato nessun trailer, giusto per non rovinarci la sorpresa. Poi però a poco a poco abbiamo cominciato a capire di cosa si trattasse, e ad apprezzare lo stile narrativo scelto dai registi. Solito avviso prima di proseguire: qui nel seguito parlerò della trama del film, quindi non proseguire la lettura se non vuoi rovinarti la sorpresa.

I protagonisti del film nell'ufficio dell'agenzia delle entrate

Everything everywhere all at once è un’esperienza cinematografica avvolgente che trasporta gli spettatori in un viaggio epico attraverso il tempo e lo spazio, offrendo loro un’esperienza visiva stupefacente che lascia senza fiato dall’inizio alla fine. Evelyn, la protagonista, è una giovane signora di origini cinesi, emigrata in America dopo aver incontrato l’amore della sua vita, ed in seguito ad una lite con il padre che avrebbe voluto per lei una vita completamente diversa. Invece che seguire i suoi sogni e coltivare le sue doti, si accontenta di aprire una lavanderia e metter su famiglia. Sostanzialmente, il film racconta di Evelyn alle prese con un’intransigente impiegata dell’agenzia delle entrate che comincia a trovare detrazioni un po’ troppo fantasiose. Eppure, un aspetto così ordinario della vita di una persona qualunque finisce per trasformarsi in un evento pieno di imprevisti e colpi di scena.

Perché è proprio quando Evelyn sta rischiando di perdere tutto quello che ha costruito nella sua vita che succede l’impensabile. È lei la sola, a quanto pare, in grado di salvare ogni singolo universo esistente da un mostro cattivo capace di vedere e vivere ogni possibilità offerta dal multiverso nello stesso istante. Tra le infinite Evelyn che sarebbero potute esistere, dalla cuoca alla maestra di arti marziali, dalla star famosa a quella che abita nel pianeta delle pietre parlanti, solo lei è in grado di fronteggiare questo mostro cattivo. L’assurdità della trama, strano ma vero, è il meccanismo con cui scenografia, personaggi, cultura e spirito del film riescono ad incastrarsi tra di loro in un vortice caotico, ma dalla coerenza interna millimetrica. Come dicevo all’inizio, i primi venti minuti saranno un po’ difficili da capire, ma poi tutto diventerà chiaro, fino a giungere ad un epilogo che a quel punto tutti ci aspettiamo, ma non per questo scontato e banale.

La storia di Evelyn e la sua frustrazione nell’aver rinunciato a realizzare se stessa per inseguire le promesse ambigue del sogno americano, è un appiglio alla realtà che offre ai registi l’occasione per riflettere e portare sullo schermo in modo autentico, pur tra gli estremi di una storia fantastica, l’esperienza di tante persone e famiglie emigrate negli Stati Uniti, rifuggendo gli stereotipi e restituendone la complessità. L’altro tema portante è quella perenne incomunicabilità generazionale, che nel film è raccontata tramite le difficoltà linguistiche di una madrelingua cinese a parlare l’inglese. Leggendo ogni giorno sui giornali del disagio sociale degli adolescenti nell’era post-Covid, mi sembra che il film abbia raccolto la sfida di sviscerare un argomento molto sentito nella società odierna, ma senza il melodramma a cui altre pellicole ci hanno spesso abituati. In conclusione, una produzione che vale sicuramente la pena vedere.

Commenti

  1. Sono contento di aver letto il tuo post fino in fondo perché io il trailer l’avevo visto e sapevo la trama ed avevo pensato che si trattasse di un espediente, anche e forse principalmente, per affascinare lo spettatore sul metaverso, cosa che non mi ha attirato soprattutto perchè mi sembrava che il film fosse un po’ come il ciclista che all’arrivo di una tappa in pianura giunti a poche centinaia di metri dalla linea del traguardo tira la volata per lo specialista del suo team, in questo caso il titolare di Facebook. Invece tu ne dai una ricostruzione differente, almeno nello scopo e nell’impianto del film, ricostruzione che mi ha convinto per cui penso che lo guarderò
    . PS: sono un fan di serie tv, cortometraggi e film distopici 🙂 anche se non solo di quelli.

    Risposte al commento di DANIELE VERZETTI ROCKPOETA®

    1. camu ha scritto:

      Allora abbiamo gli stessi gusti in tema di generi televisivi. Si, il film non mi è sembrato un grande spot per Facebook. Più che altro è una metafora dello scontro generazione a cui stiamo assistendo nella società intorno a noi.

  2. Trap ha scritto:

    Interessante, me lo segno, grazie!
    p.s. a dir la verità, leggendo della tipa dell’agenzia delle entrate, ho pensato subito ad un certo tipo di film “italico” eh eh

    Risposte al commento di Trap

    1. camu ha scritto:

      Eh eh, sarebbe stato bello vedere Checco Zalone nei panni dell’impiegato dell’agenzia delle entrate.

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