due chiacchiere

Il triangolo del capo progetto

Questa settimana m’hanno mandato ad un corso di formazione intitolato Project Management: Skills for success, che più o meno potrebbe essere tradotto in Gestire un progetto: capacità per avere successo. Una lunga chiacchierata di cinque giorni sulla letteratura e le tecniche più in voga in questo settore. Come sempre gli americani sono maestri nel costruire modelli, teorie e standard su qualsiasi cosa, ed il lavoro del capo progetto non poteva certo essere risparmiato da questa pratica. In questa miniserie di articoli voglio condividere con te quello che sto imparando. Sebbene il mio ruolo non sia quello di dirigere un team di persone al momento, le tecniche illustrate durante il corso mi torneranno utili per discutere e pianificare il prossimo progetto in cui mi coinvolgeranno.

Chi ben mangia è a metà dell’opera

A partire dal cibo: sarà un’americanata, ma secondo studi attendibili, a pancia piena si lavora meglio e più contenti. Lo dice la piramide di Maslow, stando alla quale un dipendente diventa più produttivo man mano che sono soddisfatti i suoi vari livelli di “bisogni”, da quelli fisiologici (illuminazione adeguata, postazione confortevole, ritmi di lavoro bilanciati con pause, ecc), a quelli di realizzazione professionale. Ora capisco perché qui, quando ci sono delle riunioni importanti che coinvolgono vari uffici, c’è sempre qualcosa da mangiare su un banchetto al lato. Ed anche perché sulla scrivania del Grand Iper Mega Direttorissimo del posto dove lavoravo prima, se non erro, ci fossero delle caramelle 🙂

I tre vincoli per avere successo

Sazietà a parte, tra le tante cose che il professore c’ha spiegato ieri, quella che mi è rimasta impressa è il Triangolo dei Vincoli (ovvero Triple Constraint, in inglese), che nella sua semplicità disarmante rappresenta la chiave di volta per il successo di ogni nuovo progetto sul quale ci si accinge a lavorare.

In breve, quando si mette nero su bianco un piano d’azione, bisogna tener conto di tre fattori: tempi, costi e caratteristiche finali. Per la riuscita del progetto se ne fissano due e si lascia il terzo variabile. L’esempio fatto a lezione è abbastanza intuitivo (anche se lontano dalla realtà, ahimè): costruire una casa nuova. Per questo progetto abbiamo a disposizione 200.000 euro, le carte dell’architetto e 6 mesi di tempo prima che scada l’affitto della casa dove siamo adesso. Ma il muratore a cui proporremo di effettuare i lavori difficilmente accetterà tutti e tre i vincoli: in genere dati i soldi e i disegni, ci dirà quanto tempo ci vorrà. Oppure dati i soldi ed i tempi, ci dirà quali caratteristiche potrà realizzare. Un buon capo progetto dovrebbe sempre comportarsi in questo modo con il committente 🙂 Geniale, no?

Commenti

  1. Davide
    ha scritto:

    A pancia piena si lavora meglio? Dipende di cosa (e quanto) è piena! 😀

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    1. camu
      ha scritto:

      @Davide: beh ma infatti qui mica mettono il tacchino ripieno o la peperonata 🙂 Lo chiamano apposta “light refreshment”: qualche pasticcino, un po’ di aranciata, e stuzzichini simili.

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      1. lurebu
        ha scritto:

        @camu: aaaa ecco c’era il “light” .. 😀

        Americanate a parte, in vent’anni di esperienza ti dico che i progetti più fallimentari sono sempre stati quelli in cui si è cercato di seguire una metodologia … magari lì è diverso 🙂

        Nel triangolo magico ci metterei solo “la motivazione dei partecipanti”. Tutti, dal cliente al finanziatore, al progettista ai realizzatori. Non capisco come si possa continuare a cercare di far diventare le persone “Macchine”.

        Il resto, è fuffa 😉

  2. camu
    ha scritto:

    @lurebu: anche io ho avuto la stessa impressione. L’idea di creare un modello e di misurare i dipendenti (come dirò nella prossima lezione) fa sembrare tutto troppo artificiale, per i miei gusti. C’è da dire, però, che alcuni concetti di base possono aiutare per lo meno ad organizzarsi bene e partire col piede giusto. Come la creazione di diagrammi di Gantt, la decostruzione del progetto in piccoli task, l’analisi dei rischi che mai nessuno fa e via dicendo.

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    1. Trap
      ha scritto:

      @camu: se ti sentisse Ambriola ti bocerebbe ad Ingegneria del Software 🙂 (ah, forse tu l’hai fatto con il mitico Egon)

      comunque l’idea delle riunioni “forzate” non mi è mai piaciuta molto. Spesso si discute però si finisce di parlare da soli e gli altri di ascoltare … con un orecchio

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      1. camu
        ha scritto:

        @Trap: lol hai ragione. A me comunque piace l’approccio “agile” al ciclo di vita dei progetti e del software. Una metodologia che piano piano sta soppiantando altri blasonati sistemi di cui Ambriola va tanto fiero (viva Rational!)

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