Durante i mesi del lockdown, quando eravamo costretti a stare tappati in casa per la maggior parte del tempo, la televisione era diventata un indispensabile strumento per passare il tempo, insieme a giochi da tavolo vari che abbiamo avuto modo di riassaporare in famiglia. Grazie alle millemila app disponibile oggi sul mercato americano, da Netflix a FuboTV, da Hulu a Plex, abbiamo scoperto una manciata di nuovi programmi, ed è stata per me l’occasione di introdurre le figlie ai loro primi cartoni animati giapponesi. Noi ragazzi cresciuti a colpi di Bim Bum Bam negli anni ’80 abbiamo imparato ad apprezzare quell’impalpabile bellezza racchiusa nell’animazione del Sol Levante, con tutte le serie tv dell’epoca, da Gigi la Trottola a Lamù, dall’immortale Candy Candy ad Occhi di Gatto. Ai tempi dell’università cominciai a bazzicare il mondo dei manga, ed a guardare i primi lungometraggi come Akira e le opere di Miyazaki (di cui parlerò in un post a parte). Non vedevo l’ora di trasmettere questa passione alle figlie, che finora avevano solo guardato cartoni americani, e la pandemia mi ha aiutato non poco.
Una serie che ci ha particolarmente affascinati è stata My Hero Academia, caldamente consigliata dal mio collega José, che reputo il mio spacciatore di fiducia quando si tratta di scoprire la robba bbona in televisione. La storia è presto detta: in un futuro non molto remoto, la maggior parte dei Giapponesi si scopre dotata di un qualche superpotere, sia esso la possibilità di trasformarsi in un animale, o di rendere il proprio corpo duro come la roccia. Il giovane Izuku non vede l’ora di scoprire quale sia il suo quirk, per emulare le gesta del suo eroe preferito, l’invincibile All Might. Ma quando va dal dottore di famiglia per svelare il mistero, il suo sogno va in frantumi non appena gli viene comunicato che il suo corpo non ha sviluppato nessun superpotere. Caso vuole che sulla via del ritorno, s’imbatta proprio nel suo paladino preferito. Che decide di prenderlo sotto la sua ala per aiutarlo ad entrare lo stesso nella prestigiosa scuola UA per supereroi (da cui il titolo della serie).
Quello che mi piace di Izuku e dei suoi compagni di classe è la loro determinazione quando tutto sembra perduto, la voglia di affrontare le difficoltà e di mettere insieme i loro quirk per tirarsi fuori da guai o per superare un esame. Un po’ come in X-Men o Heroes, la caratteristica di questa serie è il suo cast enorme, con personaggi anche minori che hanno un aspetto divertente o una personalità interessante a cui i lettori possono attaccarsi. Oltre a Izuku, soprannominato in modo offensivo “Deku” dal suo acerrimo compagno di banco Bakugo, che letteralmente significa “colui che non può fare niente”, c’è appunto Bakugo, uno dei più grandi stronzi che il genere dei supereroi abbia mai visto, un personaggio con evidenti complessi di superiorità, probabilmente per via del suo potere micidiale, sempre incazzato nero. Poi ci sono Ida, il capoclasse super-precisino e sempre compassionevole, l’affascinante Todoroki che ha poteri di fuoco e ghiaccio ed è fondamentalmente la risposta di questa serie al principe Zuko di Avatar The Last Airbender, ed ovviamente All Might, di cui non voglio svelarti il segreto per non guastare la sorpresa.
La serie è stata così popolare che gli autori hanno deciso di produrre anche due lungometraggi, che espandono parzialmente la trama principale, e spiegano alcune cose che il cartone non chiarisce. Il formato è sempre quello classico giapponese a cui siamo abituati dai tempi di Megaloman, ovvero di dover combattere contro il cattivo di turno che vuole distruggere l’armonia e la pace. Le stagioni successive introducono l’arcirivale (si dice così?) di All Might, il mega cattivo impossibile da sconfiggere, ed i suoi scagnozzi che incutono paura persino a guardarli. I colpi di scena non mancano, ed il divertimeno è assicurato.