Tutti prima o poi, guardando un film americano, leggendo un libro o ascoltando un’intervista ad un presidente a stelle e strisce, hanno incontrato la frase God bless America! Per noi europei abituati ad uno stato laico, è sempre stato difficile capire questo rapporto tra la religione e lo stato. Da un lato storciamo il naso quando ci parlano degli stati teocratici del Medioriente, ed allo stesso tempo non ci stupiamo di quest’ostentata fede cristiana da parte degli Stati Uniti. Ma confronti a parte, oggi vorrei trarre spunto da un video di Francesco Costa e da un recente articolo del Corriere, per fare due considerazioni sull’origine di questo rapporto tra gli americani e la religione.
Il primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti vieta al governo di imporre una religione di stato e di proibire il libero esercizio della fede. Eppure fra qualche mese, durante la cerimonia di insediamento, il nuovo presidente giurerà di difendere quella costituzione mettendo una mano sulla Bibbia e pronunciando la formula di rito So help me God, Che Dio mi aiuti. A partire dal 1865 tutti i presidenti statunitensi si sono identificati come cristiani, oltre otto cittadini su dieci dichiarano di credere nell’esistenza di Dio e il 68 percento di chi si definisce cristiano dice che la religione ha una grande importanza nella propria vita.
Come ci spiega Francesco, tutto nasce quando i primi coloni arrivarono sulle coste di questo continente inesplorato: tutti abbiamo studiato a scuola la storia dei Pilgrims che s’imbarcarono sulla Mayflower per sfuggire alle grinfie della Chiesa d’Inghilterra che voleva forzarli a seguire certi canoni in maniera rigida. Da allora, Dio divenne un modo per dare importanza ed autorevolezza alla neonata istituzione politica agli occhi del popolo. Nulla di nuovo sotto il sole: solo un paio di secoli prima, le Crociate contro l’oriente, che null’altro avevano se non uno scopo di stabilire l’egemonia economica sulle popolazioni mediorientali, furono giustificate nel nome di un dio che incoraggiava la conversione di questi popoli alla religione di Papa Urbano II. Da allora, il giochino non è cambiato poi tanto: certo, oggi l’America non dichiara più guerre nel nome del Signore, ma il costume di avallare decisioni politiche tramite la fede è ancora molto sentito nella cultura americana.
Basti pensare alle recenti polemiche sull’aborto, ed al cambio di rotta con cui la Corte Suprema, oggi composta da una maggioranza di conservatori, due anni fa sconvolse l’intera nazione. Per essere uno Paese che si vanta di esportare democrazia e libertà, il fatto che ancora oggi in certi stati si possa essere condannati o addirittura morire per una gravidanza non voluta, è una cosa che dovrebbe per lo meno far riflettere. Tutto questo grazie alle pressioni dell’establishment religioso, che ovviamente spinge nella direzione della conservazione della vita a tutti i costi. La stessa vita che però poi non ci si fa scrupoli a sacrificare in guerra o semplicemente perché l’assicurazione sanitaria non può coprire un’operazione chirurgica importante, e la gente deve andare in bancarotta pur di pagare quelle spese di tasca propria. Controsensi così stridenti sono solo degni di serie televisive distopiche come Il Racconto dell’Ancella.