Ero convinto che la sarcoidosi fosse una delle malattia più diagnosticate o almeno sospettate nella serie tv House, M.D., ma stando ad alcune veloci ricerche online, era invece il lupus eritematoso sistemico. Probabilmente perché quest’ultima è una malattia autoimmune che ha un’alta probabilità di scatenarsi per una miriade di motivi diversi, e quindi può coincidere con un ampio ventaglio di sintomi. Tutto questo è cio che mi passa per la mente da quando, dopo una serie di controlli ai polmoni, inclusa una biopsia, il mio medico ha sentenziato che io abbia la sarcoidosi. Ora, in passato non ho mai voluto parlare dei fatti miei sul blog: non per pudore personale, quanto piuttosto perché non ne vedo l’utilità sociale, però mi sa che pian piano mi stia ricredendo (sarà l’avanzare della senilità), e sento che condividere quest’esperienza possa essere un gesto catartico per liberare le emozioni che hanno attraversato la mia mente da quando ho intrapreso questo viaggio lo scorso febbraio.
La buona notizia è che la sarcoidosi si può gestire e, stando allo specialista che mi ha seguito finora, nella maggior parte dei casi non rappresenta nulla di grave per il paziente. Tant’è che non ho mai avuto sintomi di alcun tipo, neppure problemi respiratori quando ho preso il Covid un paio di volte in questi quattro anni. Ce ne siamo accorti per caso quando il cardiologo mi ha fatto fare un controllo di routine per tenere d’occhio l’aorta che molto lentamente sembra dilatarsi ed assottigliarsi (mamma mia, il corpo umano è davvero complesso). I segnali della sarcoidosi sono svariati, ed a livello polmonare si traducono nell’ingrossamento dei linfonodi e, per usare termini non medici, nella formazione di alcune palline calcificate che intrappolano quello che il corpo pensa essere il vettore di una qualche infezione. Ho chiesto allo specialista se io abbia potuto fare qualcosa per scatenare questa risposta immunitaria, ma mi ha detto che non c’è una correlazione precisa.
Chissà, forse tutti gli anni passati a lavorare in città a respirare l’aria non proprio salubre aspettando un treno per tornare a casa ogni sera, avranno avuto un ruolo in questa situazione. Comunque sia, adesso farò una cura a base di cortisone, per cercare di resettare la risposta immunitaria in questione, e terremo sotto controllo l’evolversi del quadro clinico per cogliere in tempo eventuali cambiamenti. Ti confesso comunque che quando all’inizio di febbraio il radiologo ha visto quelle macchioline nei miei polmoni, io ho subito pensato al peggio, ed in questi mesi ho riflettuto su come avrei reagito ad un’eventuale sentenza legata a qualche malattia più grave. Come ad esempio il fatto di non voler tentarle tutte per allungarmi la presenza su questa Terra di qualche mese, se quello fosse stato il verdetto. Forse adesso il post sulla mia vicina di casa che ho scritto qualche settimana fa, assume un significato più preciso. Come anche l’audiopost che ho pubblicato per il mio compleanno.
Quello che ho capito è che spesso diamo per scontato il fatto che vivremo ancora a lungo, e quindi rimandiamo le cose e non ci curiamo delle persone intorno a noi come meriterebbero. Al contrario, ci incattiviamo pian piano, sviluppiamo una scorza dura per difenderci dai continui attacchi della società intorno a noi. Dimentichiamo di assaporare le piccole cose quotidiane, e ci lasciamo travolgere dal logorio della vita moderna. Invece ogni tanto dovremmo fermarci a riflettere sulle cose belle che abbiamo fatto finora, e su quello che gli altri ricorderanno di noi.
Commenti
Giovanni ha scritto:
Senza ombra di dubbio, si può prendere molte cose ………..la preparazione oltre un continuo studio.
Si può permettere a essere arrogante è spregievole.
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camu ha scritto:
Alla fine ciò che conta è trovare il giusto equilibrio inferiore, per non farsi trovare impreparati quando si giunge al capolinea.
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Giovanni ha scritto:
Nessuno sa il propio capolinea.
Si è un corpo vegeto ……..e nemmeno Hause sa dov’è.
Tra il corpo e lo spirito c’è di mezzo la Fede. Ed il soggetto del post non ha una fede, se non in lui stesso.
Giuseppe ha scritto:
Grazie per aver condiviso la tua esperienza così personale e profonda. È comprensibile avere preoccupazioni quando si riceve una diagnosi come la sarcoidosi, e il fatto che tu stia considerando di aprirti su questo argomento è un passo importante e coraggioso. Le riflessioni sul valore della vita e su come spesso diamo per scontato il nostro tempo sono toccanti e necessarie. La tua intuizione sulla necessità di apprezzare le piccole cose e le persone intorno a noi è un messaggio che risuona fortemente, soprattutto in un mondo così frenetico. Spero che il tuo percorso di cura ti porti a un miglioramento e che questo viaggio possa aiutarti a trovare un nuovo modo di connetterti con te stesso e con gli altri. La tua voce è importante, e condividere le tue emozioni può davvero essere un atto catartico, non solo per te, ma anche per chi ti legge. Ti auguro il meglio per la tua salute e un nuovo inizio pieno di riflessioni significative! Ciao!
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camu ha scritto:
Grazie Giovanni. Come giustamente dici, non è facile fermarsi ad assaporare le piccole cose, in un mondo frenetico e frammentato come quello che stiamo vivendo oggi. Guerre, polarizzazione, cattiveria, individualismo, tutte cose che rendono difficile l’obiettivo di trovare una calma interiore per affrontare tutto il resto.
Aldo ha scritto:
Secondo me è più la preoccupazione che la patologia in se. Però visto che ora lo sai e esistono farmaci per tenere a bada i sintomi, vai tranquillo! Hai fatto bene a condividere. Il blog serve soprattutto a questo.
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camu ha scritto:
Grazie. Sono d’accordo, è stato uno spavento all’inizio, ma per fortuna la situazione adesso sembra essere sotto controllo.
Katrina Uragano ha scritto:
Incrocio le dita per te affinché la cura agisca nel minor tempo possibile e nel miglior modo.
Grazie per averci resi degni della tua fiducia su queste pagine.
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camu ha scritto:
Grazie, in effetti è bello vedere come, al di là di tutto quello che succede nel mondo, guerre, polarizzazione, ignoranza, ci sia ancora la possibilità di instaurare un contatto più “umano” lontano dai social pieni di lucine scintillanti.
Trap ha scritto:
Ciao caro, grazie per averci condiviso questa tua esperienza: rivelandocela ti sei aperto. La tua prospettiva sulla vita e sulla morte, scaturita da questa esperienza, è molto profonda. Permettimi di citare Sammy Basso, che è morto due giorni fa: “Ai ragazzi d’oggi è negato proprio il il tempo di capire cosa vogliono fare, questa idea di performance che deve sempre essere al massimo, non si da’ il giusto valore al fallimento” […] “Non serve essere perfetti per fare qualcosa. A volte le persone vorrebbero fare, ma pensano di essere troppo vecchi per fare le cose. Alla fine cos’è l’età? non c’è nemmeno un corrispettivo biologico dell’età. Cos’è? Basta fare”
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camu ha scritto:
Uno dei podcast a cui sono abbonato ha seguito la storia di Sammy da tempo, ogni tanto lo chiamavano per fare due chiacchiere, ed ho sempre ammirato la sua energia e la sua determinazione. Questa frase che citi poi è davvero il riassunto perfetto di quello che penso anch’io. Ne ho parlato qui sul blog, di come in America ci sia quest’ossessione a premiare tutti i ragazzini quando fanno sport: tutti devono avere una medaglia, anche quelli che hanno perso. E già vedo come alcuni nostri amici si lamentano dei figli che non apprezzano il valore delle cose che ricevono, anestetizzati dal turbinio di consumismo dove un telefono da mille dollari è già da buttare dopo un anno, perché gli altri hanno già il modello nuovo. A loro basta schioccare le dita per ottenere quello che vogliono, senza fare alcun sacrificio, senza offrire nulla in cambio. Non va bene.