Un paio di mesi fa commentavo i fatti incresciosi di Pisa, in cui un gruppo di studenti era stato preso a manganellate da alcuni teste calde all’interno del corpo di polizia. In quel contesto, Aldo ha lasciato un commento in cui mi segnalava un articolo del Corriere che condivide l’esperienza woke di una ricercatrice italiana a New York. Così, dopo aver parlato di Mary Poppins e degli arresti nei campus americani, volevo concludere la settimana con una riflessione su questo fenomeno a stelle e strisce. Già, la tanto emancipata Grande Mela, quella che ha fatto da sfondo ad innumerevoli film, è oramai diventata un incubatore per estremisti del politicamente corretto, un posto dove i bianchi devono espiare le proprie colpe per come hanno trattato i neri d’America negli scorsi duecento anni. Io oramai manco dalla città da quattro anni, ma già all’epoca dovevo stare bene attento a come mi esprimevo, per non finire nei guai con un qualche collega che poteva farmi rapporto presso l’ufficio personale. In un paio di occasioni ho avuto conversazioni con gente che considerava Cristoforo Colombo un assassino da cancellare dai libri di storia, ed ho dovuto fare l’equilibrista su quello che rispondevo.
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