Mentre nel Paese a stelle e strisce la Disney prima e la Pixar adesso la fanno da padrone da più o meno un secolo, quando si tratta dell’animazione di un certo livello, in Italia, stando ai miei pochi ricordi di gioventù, negli anni ’70 ed ’80 era più popolare la vasta produzione dei manga giapponesi, che soddisfaceva tutti i gusti e tutte le età. Come dimenticare la sexy Lamù ed il suo sfigato fidanzato Ataru Moroboshi, o i due fuoriclasse Holly e Benji e il campo di calcio lungo un paio di chilometri, oppure ancora le serie sui ladri Lupin ed Occhi di Gatto. E vogliamo parlare degli occhioni dolci di Candy Candy e Heidy? Tutte produzioni che spesso raccontavano storie ben più profonde ed impegnate di quanto la Disney non riuscisse a fare con le sue principesse scialbe ed i rispettivi principi azzurri pronti a salvarle in un lieto fine sdolcinato e surreale. L’apice di questa differenza di fondo è rappresentato dai lungometraggi della casa Studio Ghibli, che conobbi ai tempi dell’università grazie ad un’amica appassionata del genere. Leggi il resto di Studio Ghibli, dove nascono i sogni
Archivio degli articoli in soggiorno e tv, pagina 4
Sex Education ci racconta gli adolescenti inglesi
Un mio ex collega dell’università dove lavoravo prima era un grande appassionato di serie televisive nord-europee, specialmente quelle inglesi e scandinave. Così grazie a lui ho scoperto, ad esempio, The Killing, una vecchia serie danese sulla falsariga del più popolare (almeno in Italia) Ispettore Derrick o del cane più famoso della Germania, Rex. Oggi però voglio parlarti di un’altra produzione, questa volta inglese, decisamente più leggera e divertente delle storie della poliziotta Sarah Lund, in cui sbirciamo dietro le quinte della vita quotidiana di un gruppo di adolescenti delle campagne britanniche, con tutte le loro paure, incertezze e battaglie per ritagliarsi un angolino nella realtà sociale in cui sono immersi: Sex Education. Un racconto in cui l’equilibrio tra il serio ed il faceto viene raccontato con intelligenza, senza mai scadere nel volgare scontato e fine a se stesso. Certo, c’è qualche scena un po’ piccante, se così vogliamo dire, ma ogni dettaglio è raccontato con quel senso di scoperta in cui tutti possiamo riconoscere il nostro cammino interiore durante la nostra adolescenza. In Italia, da quanto leggo, le tre stagioni sono disponibili su Netflix sin dal 2019. La solita nota prima di continuare: nel seguito parlerò della trama, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, puoi pure fermarti qui per oggi. Leggi il resto di Sex Education ci racconta gli adolescenti inglesi
L’immigrazione vista da un… Albanese
Quando non ho l’erba del prato da tosare nel fine settimana, o qualche elettrodomestico da aggiustare, c’è sempre una pila di camicie pronta ad aspettarmi per essere stirata. Non che Sunshine non se ne voglia occupare, ma l’accordo è che io stiro e lei porta le bimbe alle loro attività sportive. Così, arrivato il Sabato, preparo l’asse da stiro in salotto e prendo i proverbiali due piccioni con una fava portandomi avanti con la lista di film e documentari che ho in programma di guardare. A volte sbircio tra le proposte di RaiPlay, e l’altro giorno c’era un film di Antonio Albanese che mi ha incuriosito: Contromano. Sono un fan dell’attore pugliese dai tempi non sospetti in cui impersonava Alex Drastico ed Epifanio in trasmissioni di reti minori locali, ed ho sempre apprezzato il suo carattere poliedrico, in grado di calarsi perfettamente in ruoli sia comici che drammatici. E dunque, tra una camicia ed un pantalone, ho cominciato a guardare la storia del signor Mario Cavallaro. Il solito avviso prima di continuare: nel seguito parlerò della trama, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, fermati pure qui per oggi. Leggi il resto di L’immigrazione vista da un… Albanese
Lo chiamavano Jeeg Robot
Mi piace quando un regista italiano prova a reinterpretare in chiave tricolore quei tipici film d’azione americani, pieni di pistole e capitomboli che neppure i ginnasti olimpici potrebbero mai effettuare con tanta disinvoltura. Il film Lo chiamavano Jeeg Robot è stato, in tal senso, una gradita sorpresa scovata grazie all’app di Mediaset qualche mese fa. Gabriele Mainetti e Claudio Santamaria sono riusciti a confezionare una storia che si segue con piacere e che convince lo spettatore. Tanto che persino su Rotten Tomatoes ha riscosso un meritato 77% come giudizio del pubblico, cosa che non capita spesso tra le produzioni straniere, a volte sottovalutate dagli spettatori americani che apprezzano solo i film sparatutto con i supereroi della Marvel (per carità, piacciono anche a me, ma ogni tanto è bello variare, no?). Solito avviso prima continuare: qui nel seguito parlerò della trama del film, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, puoi anche fermarti qui. Leggi il resto di Lo chiamavano Jeeg Robot
L’accademia dei supereroi giapponesi
Durante i mesi del lockdown, quando eravamo costretti a stare tappati in casa per la maggior parte del tempo, la televisione era diventata un indispensabile strumento per passare il tempo, insieme a giochi da tavolo vari che abbiamo avuto modo di riassaporare in famiglia. Grazie alle millemila app disponibile oggi sul mercato americano, da Netflix a FuboTV, da Hulu a Plex, abbiamo scoperto una manciata di nuovi programmi, ed è stata per me l’occasione di introdurre le figlie ai loro primi cartoni animati giapponesi. Noi ragazzi cresciuti a colpi di Bim Bum Bam negli anni ’80 abbiamo imparato ad apprezzare quell’impalpabile bellezza racchiusa nell’animazione del Sol Levante, con tutte le serie tv dell’epoca, da Gigi la Trottola a Lamù, dall’immortale Candy Candy ad Occhi di Gatto. Ai tempi dell’università cominciai a bazzicare il mondo dei manga, ed a guardare i primi lungometraggi come Akira e le opere di Miyazaki (di cui parlerò in un post a parte). Non vedevo l’ora di trasmettere questa passione alle figlie, che finora avevano solo guardato cartoni americani, e la pandemia mi ha aiutato non poco. Leggi il resto di L’accademia dei supereroi giapponesi
Smetto quando voglio
Prima di trasferirmi negli Stati Uniti, ho bazzicato per qualche anno i corridoi dell’ateneo dove mi ero laureato, all’inizio come collaboratore coordinato e continuativo (ancora oggi non riesco a dare un senso a quel titolo) e poi come dipendente tecnico del dipartimento di Sistemi Elettrici ed Automazione della facoltà di Ingegneria. Lì ho avuto modo di fare amicizia con alcuni ricercatori intenti a costruire bracci meccanici e piccoli robottini in grado di infilarsi nelle fognature per stendere nuove linee di fibra ottica senza squarciare le già malridotte strade cittadine del Belpaese. Così quando RaiPlay mi ha suggerito di guardare Smetto quando voglio, non ho potuto fare a meno di pensare a quei ragazzi che, proprio come nel film, si facevano un mazzo ma ricevevano pochissima gratificazione dei professoroni che li seguivano. La trama è semplice quanto geniale: un gruppo di ricercatori si stanca di fare la gavetta, e decide quasi per caso di mettere le proprie conoscenze al servizio del crimine, sintetizzando una droga legale con la quale inondare il mercato e fare soldi a palate. Prima di continuare, il solito avviso ai naviganti: nel seguito si fa cenno ad alcuni dettagli della trama, quindi se non vuoi rovinarti la sorpresa, puoi anche fermarti qui. Leggi il resto di Smetto quando voglio
The Good Doctor, un medico autistico in corsia
Il professore del corso del master in disabilità ed inclusione sociale che ho seguito lo scorso semestre, una settimana ci ha dato il compito di recensire un film o serie televisiva che avesse una persona disabile come protagonista. L’obiettivo era analizzare l’uso di stereotipi o l’adozione di concezioni sbagliate che dessero un quadro distorto delle difficoltà che alcune persone si trovano a fronteggiare ogni giorno. Così ho approfittato dell’occasione per parlare di una serie TV che guardai l’anno scorso, ed ho pensato di conservare qui sul blog questa recensione. Come già dicevo a proposito di Doc, Nelle tue mani, per me quella di Gregory House rimane ad oggi l’unica serie impareggiabile, ma visto che l’autore di The Good Doctor era lo stesso, ero curioso di vedere cosa avesse tirato fuori dal suo cappello magico. Senza contare il fatto che il titolo mi ricordava un’altra serie che ho tanto amato, The Good Wife. Leggi il resto di The Good Doctor, un medico autistico in corsia
Legion, il virus mentale psichedelico
Correva l’anno 2018 quando il mio collega José, che è sempre stato aggiornatissimo sulle produzioni per piccolo e grande schermo più gettonate, e la cui conoscenza dell’universo Marvel e di altri supereroi in genera rivaleggia quella di Wikipedia stessa, mi consigliò di guardare la serie TV Legion. José conosce i miei gusti, e non manca mai di colpire nel segno ogni volta che mi da un suggerimento. Ricordo che all’epoca finii per guardai tutte e tre le stagioni nel giro di meno di un mesetto, tanto m’intrigò il concetto di base e la bravura degli autori nello scardinare i criteri classici della narrazione convenzionale. Già, perché guardare Legion per me è stato come se avessi assunto sostanze stupefacenti di un certo livello, un trip mentale come mai ne avevo sperimentati prima. La prima stagione specialmente ti prende alla sprovvista, con le sue continue allusioni a cosa sia vero e cosa sia immaginato dal protagonista. Leggi il resto di Legion, il virus mentale psichedelico